Sentenza della Corte di Cassazione n. 29618/2016 pubblicata il 13 luglio 2016 (Presidente: Conti – udienza: 3.6.2016) sulla resistenza aggravata a Pubblico Ufficiale (art. 337 del Codice Penale).

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli iscritti e non, lo Staff ILA segnala la sentenza della Corte di Cassazione n. 29618/2016 pubblicata il 13 luglio 2016 (Presidente: Conti – udienza: 3.6.2016)< sulla resistenza aggravata a Pubblico Ufficiale (art. 337 del Codice Penale<).

 

Penale Sent. Sez. 6 Num. 29618 Anno 2016 Presidente: CONTI GIOVANNI Relatore: CRISCUOLO ANNA Data Udienza: 03/06/2016<

SENTENZA< sul ricorso proposto da Balestrazzi Giordano, nato a Castel Bolognese il 11/07/1942 avverso la sentenza del 13/02/2015 della Corte di appello di Bologna.

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio ai fini della valutazione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.; udito il difensore, avv. Giovanni Bonaccio in sostituzione dell’avv. Aldo Valentini, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa il 16 aprile 2013 dal Tribunale di Ravenna, sezione distaccata di Faenza, nei confronti di Balestrazzi Giordano, ritenuto colpevole del reato di resistenza aggravata a pubblico ufficiale e condannato alla pena di mesi quattro di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena. I giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità dell’imputato in base alla testimonianza dell’agente Barzagli, in servizio di fronte ad una scuola elementare, dove era giunto l’imputato, che, dopo essersi arrestato al segnale dell’agente, aveva iniziato una lenta manovra di avanzamento, disattendendo l’ordine impartito; invitato a fornire i documenti per la redazione del verbale di contravvenzione, aveva minacciato l’agente ed ostacolato la sua attività, dicendogli “lei questo lo fa per ripicca, perché le ho detto che è incompetente, e mi ridia indietro la patente perché lei finisce male”.

2. Avverso la sentenza propone ricorso il difensore dell’imputato, che ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi:

2.1 inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. e carenza di motivazione: la Corte ha fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato sulla sola deposizione del Barzagli, ritenuta attendibile senza un vaglio approfondito della credibilità del teste e trascurando le numerose criticità del racconto, evidenziate nei motivi di appello; in particolare, la Corte non ha spiegato come possa ritenersi coerente il racconto di chi, dopo aver definito l’episodio come empasse dovuta ad una incomprensione, risoltasi in tranquillità senza alcun pericolo per gli alunni, solo a seguito delle contestazioni del P.m. ha affermato che il comportamento dell’imputato era quello di ostacolarlo nell’esercizio delle sue funzioni, nonostante l’ammissione di aver ottenuto i documenti e di essere riuscito ad elevare la contravvenzione. Ha segnalato la confusione del teste nel riferire le frasi pronunciate dall’imputato e l’ammissione di non essersi sentito intimorito, essendosi trattato, come riferito inizialmente, di una incomprensione sfociata in alterco verbale;

2.2 travisamento delle risultanze istruttorie ed inosservanza o erronea applicazione dell’art. 337 cod. pen: la valutazione della Corte è fondata su una lettura incompleta, parziale e frazionata della testimonianza del Barzagli, in quanto le parole pronunciate dall’imputato esprimevano solo una critica dell’operato del Barzagli, in ordine alle modalità della segnalazione eseguita dallo stesso e all’illegittimità della violazione contestata, come riconosciuto dalla stessa persona offesa, piuttosto che denotare la volontà di opporsi e di ostacolare un atto dell’ufficio dell’agente, comunque compiuto; 2.3 violazione dell’art. 131-bis cod. pen.: la norma, entrata in vigore successivamente al deposito della sentenza impugnata, può applicarsi nella fattispecie stante la minima offensività della condotta, l’integrale risarcimento del danno, l’incensuratezza dell’imputato, gravato da un isolato precedente per una contravvenzione del 2006, coperta da indulto, la sporadicità del fatto e la prognosi favorevole formulata dai giudici di merito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo e secondo motivo di ricorso sono inammissibili, perché manifestamente infondati, a differenza del terzo motivo, che può trovare accoglimento. Il ricorrente censura la decisione della Corte di appello, proponendo una lettura alternativa del fatto e delle risultanze istruttorie, ritenuta preferibile e più aderente al contesto fattuale, inammissibile in questa sede, deputata solo al controllo del percorso motivazionale adottato dai giudici di merito e non ad una rilettura degli atti processuali e delle prove. Nel caso di specie i giudici di merito hanno giustificato la decisione con argomentazioni logiche, respingendo la tesi difensiva della contraddittorietà del racconto della persona offesa, che, pur a fronte delle contestazioni, ha sempre confermato la narrazione dell’episodio in modo coerente e dettagliato. In particolare, hanno respinto la lettura alternativa e riduttiva, proposta dalla difesa, che riconduce l’episodio ad una incomprensione dovuta ad una non corretta segnalazione del Barzagli, equivocata dall’imputato, che in buona fede aveva ritenuto di poter riprendere la marcia, ritenendo che le espressioni offensive e minacciose utilizzate dall’imputato integrano il reato, a nulla rilevando che la attività del pubblico agente non fosse stata di fatto ostacolata o impedita né che il pubblico agente non si fosse sentito intimorito dalla reazione impetuosa dell’imputato. I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo i quali perché sia integrato il delitto di cui all’art. 337 cod. pen. non è necessario che sia impedita, in concreto, la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti predetti (Sez. 6, n.46743 del 06/11/2013, Rv. 257512).

2. Fondato è il terzo motivo. Nella sentenza n. 13682 del 25.02.2016 le Sezioni Unite hanno stabilito che l’art. 131- bis cod. pen. Si applica ad ogni fattispecie criminosa, nella sussistenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma, e hanno ricondotto l’innovazione di diritto penale sostanziale, che disciplina l’esclusione della punibilità, alla nozione di disciplina più favorevole che sopravviene e deve trovare applicazione retroattiva, secondo le regole sostanziali poste dall’art. 2, comma 4, cod. pen. e secondo le modalità applicative proprie delle regole processuali poste dall’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.: quindi, sia a seguito di deduzione e richiesta specifica, pure tardiva, nel giudizio di legittimità, sia con rilievo d’ufficio e ciò, anche nel caso di ricorso originariamente inammissibile in relazione ai motivi concretamente enunciati con l’atto di impugnazione. In particolare, le Sezioni Unite hanno ritenuto applicabile l’istituto nel giudizio di legittimità anche quando la sentenza impugnata sia anteriore alla novella legislativa, come nella fattispecie, prevedendone la diretta applicazione da parte della Corte di cassazione nel caso in cui la valutazione sulla particolare tenuità del fatto sia ricavabile dalla motivazione, trattandosi di valutazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado di colpevolezza, rimessa al giudizio di merito e non al giudice di legittimità, che si limita ad applicare la legge, esercitando i poteri attribuitile in via ordinaria dagli artt. 620, comma 1, lett. a), e 129 cod. proc. pen.: pertanto, la Corte di cassazione non valuta con proprio apprezzamento se quei presupposti sussistono, ma prende atto della loro presenza o della loro esclusione alla luce della motivazione del giudice del merito. Nel caso in esame non risultano espressamente apprezzati come esistenti tutti i presupposti oggettivi e soggettivi essenziali per l’applicabilità della causa di non punibilità invocata né può ritenersi, comunque, operata dai giudici di merito una valutazione della tenuità del fatto, desumendola implicitamente dal mite trattamento sanzionatorio e dai benefici concessi all’imputato, in quanto rispondenti a criteri diversi da quelli che attengono alla minima offensività del fatto. Trattandosi di valutazione complessa preclusa a questa Corte e rimessa ai giudici di merito, la sentenza impugnata va annullata con rinvio limitatamente a detto punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata sul punto relativo alla configurabilità della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 03/06/2016.

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