Sentenza n. 281/2016 del 12/01/2016 della Corte di Cassazione con la quale ribadisce come il concetto d’immediatezza della contestazione va inteso in senso relativo e non assoluto.

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la Sentenza n. 281/2016 del 12/01/2016 della Corte di Cassazione con la quale ribadisce come il concetto d’immediatezza della contestazione va inteso in senso relativo e non assoluto.<

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Sentenza n. 281/2016 del 12/01/2016 della Corte di Cassazione<

Sentenza n. 281/2016 del 12/01/2016 della Corte di Cassazione con la quale ribadisce come il concetto d’immediatezza della contestazione va inteso in senso relativo e non assoluto.<

Civile Sent. Sez. L Num. 281 Anno 2016 Presidente: VENUTI PIETRO Relatore: TRICOMI IRENE Data pubblicazione: 12/01/2016<

SENTENZA

sul ricorso 8244-2013 proposto da:

XX XXXXXX XXXXXXXX C.F. XXXXXXXXXXX, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio TOFFOLETTÓ RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, rappresentata e difesa dall’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4217/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/09/2012 r.g.n. 2884/2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/10/2015 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato PILEGGI ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 4217/12, pronunciando sull’impugnazione proposta da Xx xxxxxx xxxxxxxx nei confronti di Poste italiane spa, avverso la sentenza n. 4124 del 22 novembre 2010, emessa tra le parti dal Tribunale di Benevento, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata. •

2. Il Xx xxxxxx aveva adito il Tribunale chiedendo che fosse dichiarata l’illegittimità del licenziamento comminato senza preavviso in data 11 febbraio 2008, con condanna della datrice di lavoro alla immediata reintegra nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni non corrisposte, maturate sino alla reintegra,. oltre oneri assistenziali e previdenziali dal licenziamento alla reintegra, nonché risarcimento dei danni.

Il licenziamento era stato preceduto dalla contestazione di addebito in data 21 gennaio 2008 avente ad oggetto: “a seguito di accertamenti effettuati dalla struttura S&S Fraud Management in relazione ad eventi criminosi posti in essere nella filiale di Pontelandolfo da altro dipendente (sig. Yyyyyyy yyyyyyy), emergevano delle irregolarità. In particolare, il 2 febbraio 2006, risultava effettuato un prelevamento di euro 2000,00 dal libretto n. 17214204 (operazione eseguita con la USERID SSSSSSSS, attribuita al ricorrente) e, in data 13 ottobre 2006 risultava effettuato un altro prelevamento pari ad euro 3000,00 dal libretto n. 1322761, eseguito con l’utilizzo della USERID DDDDDDDD (attribuita al dipendente Yyyyyyy yyyyyyy, che quel giorno risultava in ferie)”. Poste italiane spa, altresì, contestava al ricorrente di aver avuto un comportamento omissivo consistente nella totale mancanza di controllo sulla procedura di conversione dei libretti cartacei nella nuova modalità lm line’: sulla regolare costituzione dei dossier nonché sul prescritto invio alla competente Filiale dei titoli convertiti.

3. Il Tribunale rigettava la domanda.

4. la Corte d’Appello nel confermare la sentenza di primo grado, riteneva infondata la censura di tardività della contestazione.

Se era risultato processualmente accertato che il Xx xxxxxx non si era mai direttamente impossessato di somme, doveva ritenersi che lo stesso avesse, tuttavia, creato le più favorevoli condizioni per gli ulteriori e successivi comportamenti fraudolenti del Yyyyyyy, integrando un comportamento altamente negligente e tanto più grave in rapporto al superiore affidamento riposto nella figura del direttore.

Dunque, vi era stata non complicità penalmente rilevante, bensì connivente tolleranza espressamente punita con l’espulsione dell’art. 56, lettera a), della disciplina pattizia.

5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il Xx xxxxxx prospettando due motivi di ricorso.

6. Resiste Poste italiane spa con controricorso.

7. E ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 2 e 3, della legge n. 300 del 1970 (art. 360, n. 3, cpc). Omessa motivazione sulla dedotta violazione del diritto di difesa in conseguenza della tardività della contestazione: omesso esame di circostanze documentali decisive (art. 360, n. 5, cpc).

La Corte d’Appello non avrebbe argomentato in ordine al perché non sarebbe stato violato il diritto di difesa in ragione della tardività della contestazione, atteso che Poste italiane era a conoscenza degli ammanchi, avvenuti nell’anno 2006, già nel giugno 2007.

Ed infatti, esso ricorrente si era doluto esclusivamente della violazione del proprio diritto di difesa e dell’ingiustificabile ed ingiustificato ritardo della contestazione, ma non aveva dedotto, a fondamento dell’eccezione, che il lungo tempo tra la scoperta degli addebiti ed il licenziamento fosse incompaGbile con la giusta causa di licenziamento, e che la Banca avesse “dato ad intendere di voler soprassedere dalla verifica disciplinare”, come affermato nella sentenza di appello.

Come si rilevava dalla informativa S&S/FM/07/0431-SCO, del 15 giugno 2007, avente ad oggetto ; Ufficio postale Pontelandolfo, irregolarità emerse a carico del dipendente Gennaro Yyyyyyy M a firma Raffaele Panico, di cui il ricorrente riporta alcuni stralci, risultava che Poste italiane aveva già accertato l’ascritto addebito consistente nell’avere, per asserito omesso controllo, “contribuito a lasciare ‘campo libero’ all’illecito operato dal Yyyyyyy”. Si trattava del solo addebito che, secondo la Corte d’Appello, sarebbe stato idoneo a giustificare il licenziamento, essendo stato escluso, anche in sede penale, qualsiasi coinvolgimento di esso ricorrente in frodi o comportamenti dolosi. 11 contenuto di tale relazione del 15 giugno 2007 era identico a quello della lettera di contestazione disciplinare del 21 gennaio 2008, che si concludeva affermando che “tale grave comportamento omissivo, secondo le evidenze rilevate dalla struttura S&S Fraud Management è da considerarsi direttamente collegato alla provocazione dei danni derivanti dall’attività illecita posta in essere da altro dipendente fin dall’anno 2005, per il quale sono in corso azioni giudiziarie di carattere penale”. Gli addebiti oggetto della lettera di contestazione erano identici, dunque, a quelli della relazione del giugno 2007, e ciò poneva in evidenza la tardività della contestazione sotto il profilo della violazione del diritto di difesa.

1.1. Il motivo non è fondato.

Come affermato con giurisprudenza consolidata da questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l’interesse del datore di lavoro all’acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest’ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l’esercizio del potere e la sanzione irrogata è irtvalida (Cass., n. 2902 del 2015, n.19115 del 2013), nè la pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore impedisce al datore di lavoro la contestazione immediata dell’illecito disciplinare, con eventuale sospensione del relativo procedimento fmo all’esito del giudizio penale (Cass., n. 8914 del 2004, n. 15361 del 2004).

Con riguardo a tale ultimo profilo la giurisprudenza di legittimità ha precisato che ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare, la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo, la cui prova è a carico del datore di lavoro, senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale, considerata l’autonomia tra i due procedimenti, e la circostanza che l’eventuale accertamento dell’irrilevanza penale del fatto non determina di per sé l’assenza di analogo disvalore in sede disciplinare (Cass., n. 7410 del 2010, n. 4724 del 2014).

Il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile (Cass., n. 13167 del 2009).

Come più volte pure ha avuto occasione di affermare la giurisprudenza di questa Corte, il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, poiché si deve tener conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, la complessità dell’organizzazione aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici.

Nella specie, la Corte d’Appello, con congrua e corretta motivazione, ha escluso la tardività della contestazione, e quindi, in ragione dei principi sopra richiamati, la lesione del diritto di difesa, a cui, nell’interesse del lavoratore, una tempestiva contestazione è finalizzata. 11 Giudice di secondo grado, infatti, dopo avere premesso che la parte datoriale con il suo comportamento non aveva mai dato ad intendere di voler soprassedere dalla verifica disciplinare, ha affermato che la nota di contestazione veniva inviata una volta completata l’indagine ispettiva, e quindi in una concentrazione temporale assolutamente congrua che non aveva intaccato il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc, e dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 (art. 360, n. 3, cpc); omesso esame di risultanze istruttorie decisive agli effetti del giudizio di proporzionalità del licenziamento (art. 360, n. 5, cpc).

Assume il ricorrente che, come si evinceva dalla lettera di contestazione disciplinare, l’addebito principale consisteva in due specifici prelevamenti indebiti di somme imputati direttamente ad esso ricorrente, stante l’assenza dal servizio del Yyyyyyy. Veniva poi contestata la mancanza di controllo sulla procedura di conversione dei libretti cartacei nella nuova modalità 16n line: che avrebbe agevolato le illecite operazioni del Yyyyyyy.

Mentre il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistere il primo addebito di natura dolosa, la Corte d’Appello riteneva sussistente e meritevole di licenziamento l’addebito secondario.

Ad avviso del ricorrente tale statuizione conseguiva al preconcetto che esso ricorrente fosse stato complice del Yyyyyyy, senza tener conto di tutte le circostanze di fatto che avrebbero potuto condurre a una valutazione di minore gravità dell’addebito residuo, delineando invece una sorta di responsabilità oggettiva.

La Corte d’Appello non prendeva in esame, quindi, che: il Xx xxxxxx non era stato l’unico direttore della filiale di Pontelandolfo sotto la cui gestione il Yyyyyyy aveva commesso operazioni penalmente illecite; moltissime operazioni illecite erano state poste in essere sotto la direzione del nuovo direttore; durante la direzione del Xx xxxxxx non erano intervenuti reclami o segnalazioni da parte dei clienti, come capitato successivamente, venendo così in rilievo la frode; il Yyyyyyy effettuava la conversione dei libretti da cartaceo ad 6-1 line a ‘ presso il proprio domicilio proprio per sfuggire ai controlli; il Yyyyyyy, trasferito dalla filiale di Benevento, aveva avuto delle sanzioni disciplinari di cui esso ricorrente non era stato avvisato, né la datrice di lavoro aveva posto in essere provvedimenti di contenimento della tendenza a frodare del Yyyyyyy.

2.1. Il motivo non è fondato

Occorre premettere che il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cpc; in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass., sentenza n. 9233 del 2006).

Ed infatti, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass., sentenza n. 13054 del 2014).

Pertanto, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio # sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (Cass., sentenza n. 11511 del 2014).

Occorre, altresì, precisare, che la Corte d’Appello, nel ritenere legittimo il licenziamento, con congrua motivazione, ha considerato il ruolo apicale di direttore dell’Ufficio rivestito dal Xx xxxxxx, ruolo caratterizzato per sua natura da particolare fiducia, in ragione del superiore affidamento riposto dal datore di lavoro, e ha affermato che lo stesso era venuto meno ai propri doveri di dipendente sanciti dagli artt. 2104 e 2105 cc, come precisati ulteriormente nella disciplina pattizia, avendo dato luogo ad P” comportamento negligente che aveva creato le condizioni favorevoli ai comportamenti fraudolenti del Yyyyyyy (peraltro, nell’Ufficio postale lavoravano in spazi pure contenuti, 40 mq., unicamente tre persone, Xx xxxxxx, Yyyyyyy e Eeeeeee eeeee).

Pertanto, la statuizione della Corte d’Appello di legittimità del licenziamento riguarda la complessiva condotta contestata disciplinarmente al Xx xxxxxx.

Affermava la Corte d’Appello che il Xx xxxxxx aveva dato luogo a un comportamento altamente negligente, tanto più grave in relazione al ruolo svolto.

Non poteva certo ritenersi che il Xx xxxxxx avesse svolto con diligenza e precisione la propria funzione di direttore, anche in ragione dell’episodio di un primo ammanco di cassa per euro 2700,00, risalente al 2005, che rafforzava il convincimento secondo il quale il Xx xxxxxx svolgeva effettivamente il proprio incarico in totale superficialità e con costante assenza di controllo sulle procedure di movimentazione dei libretti io’ n line”, per nulla prendendo in seria considerazione la pericolosità, già manifestatasi ai suoi occhi, in ragione di detto episodio, del vice direttore Yyyyyyy, che aveva pure libero accesso alla sua password, evidentemente non sostituita o cifrata con le accortezza del caso.

Ed infatti, anche in sede penale era stato ribadito che il Yyyyyyy conosceva la password del direttore giacchè “ognuno conosceva la password dell’altro”, e sempre in sede penale, si riferiva il fraudolento prelevamento intervenuto già nel 2005: “insieme al Xx xxxxxx l’abbiamo scoperto … allora la prima volta il direttore ha detto adesso t facciamo una cosa, io ci metto un assegno di 2800,00 euro nella cassa fino a quando lui (il Yyyyyyy) non rientra, in modo che se viene un ispettore giustifichiamo che non c’era linea, giusto per non rovinarlo, insomma (teste Eeeeeee).

Il giudice di secondo grado, quindi, con congrua motivazione che tiene conto complessivamente delle circostanze della vicenda, ha valutato la condotta in sé del Xx xxxxxx, in relazione alle funzioni di direttore dell’Ufficio, ritenendo che la stessa, in quanto aveva creato le condizioni favorevoli per i comportamenti fraudolenti del Yyyyyyy, era idonea a pregiudicare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro a prescindere dal dolo.

Né possono assumere rilievo, a giustificazione del Xx xxxxxx, le circostanze dallo stesso dedotte in ricorso, sopra in sintesi riportate, atteso che le stesse non escludono la condotta disciplinarmente rilevante.

3. Il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese dd giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro tremilacinquecento per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 ottobre 2015.

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