Sentenza n. 34900/2007 del 17/09/2007 della Corte di Cassazione “Lavoratori minorenni privi di visita medica e Improcedibilità penale”

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la Sentenza n. 34900/2007 del 17/09/2007 della Corte di Cassazione “Lavoratori minorenni privi di visita medica e Improcedibilità penale”<

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Sentenza n. 34900/2007 del 17/09/2007 della Corte di Cassazione “Lavoratori minorenni privi di visita medica e Improcedibilità penale”<

Cassazione Penale, Sez. 3, 17 settembre 2007, n. 34900 – Lavoratori minorenni privi di visita medica e Improcedibilità penale<

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico – Presidente –
Dott. DE MAIO Guido – Consigliere –
Dott. TARDINO Vincenzo Luigi – Consigliere –
Dott. SQUASSONI Claudia – Consigliere –
Dott. FRANCO Amedeo – est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
 sentenza 

 

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ASTI;

avverso la sentenza emessa il 30 novembre 2006 dal giudice del Tribunale di Asti;

nei confronti di: XXXX XXXX;

udita nella pubblica udienza del 6 giugno 2007 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCO AMEDEO;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero.

Fatto

XXXX XXXX venne rinviata a giudizio per rispondere del reato di cui alla L. 17 ottobre 1967, n. 977, art. 8, comma 1<, per avere occupato lavoratori minorenni senza fare loro effettuare la visita medica preventiva o (per alcuni) facendogliela effettuare in ritardo.

Il giudice del Tribunale di Asti, con la sentenza in epigrafe, dichiarò non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità prevista dal D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 15<, e D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 21<, in quanto non era mai stata notificata all’imputata la prevista prescrizione e non era stata seguita la procedura di cui al D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 20< e art. 21.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti propone ricorso per cassazione deducendo che il giudice, in applicazione del principio stabilito da una decisione di questa Corte, avrebbe dovuto d’ufficio concedere un termine all’imputata per provvedere al pagamento della sanzione amministrativa, sospendendo a tal fine il processo, anche in assenza della richiesta del P.M..

Diritto

Il ricorso è infondato.

Il giudice di Asti ha opportunamente rilevato che il presente processo fu avviato a seguito di denunzia degli ispettori della direzione provinciale del lavoro.

Ora, il D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, art. 15, (recante Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro), a norma della L. 14 febbraio 2003, n. 30, art. 8<, dispone, con riferimento alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, che qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero con la sola ammenda, deve impartire al contravventore una apposita prescrizione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 20 e art. 21, e per gli effetti del citato Decreto, artt. 23<24< e 25<, comma 1.

Può qui sommariamente ricordarsi che il D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 20, dispone che l’organo di vigilanza deve, tra l’altro, impartire al contravventore una apposita prescrizione, fissando un termine per la regolarizzazione.

L’art. 21, dispone che, se risulta l’adempimento, l’organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare, nel termine di trenta giorni, una sanzione amministrativa pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa e quindi, entro 120 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, deve comunicare al pubblico ministero l’adempimento alla prescrizione e l’eventuale pagamento della sanzione amministrativa, mentre se risulti l’inadempimento alla prescrizione deve darne comunicazione al Pubblico Ministero entro 90 giorni.

L’art. 22, prescrive che se il Pubblico Ministero riceve la notizia del reato da altri organi o soggetti, deve darne subito notizia all’organo di vigilanza perché emetta la prescrizione in questione.

L’art. 23, dispone che il procedimento penale è sospeso fino al momento in cui il Pubblico Ministero riceve dall’organo di vigilanza la comunicazione che il contravventore ha adempiuto alla prescrizione ed ha pagato la sanzione amministrativa ovvero non vi ha adempiuto, mentre l’art. 24, prevede che la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede a pagare nel termine stabilito la sanzione amministrativa.

Il D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, art. 15, comma 2, prescrive poi che la disposizione di cui al D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 22, (obbligo del Pubblico Ministero di comunicare la notizia di reato ricevuta aliunde all’organo di vigilanza per l’emanazione della prescrizione) si applica anche nelle ipotesi previste dal comma 1.

Di particolare rilievo, infine, è il medesimo art. 15, comma 3, il quale dispone che la procedura prevista dall’art. stesso si applica anche: a) nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero; b) nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione.

E’ evidente che il legislatore, con il citato art. 15, ha voluto introdurre una generale procedura di estinzione delle meno gravi contravvenzioni in materia di lavoro e di legislazione sociale (quelle punite con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda o con la sola ammenda) mediante il pagamento nei termini indicati di una sanzione amministrativa previa regolarizzazione (quando sia possibile e necessaria) delle situazioni che avevano dato luogo all’infrazione.

Risulta quindi che, a seguito della modifica legislativa, è ormai superata la giurisprudenza di questa Corte che aveva ritenuto non applicabile la procedura di estinzione delle contravvenzioni di cui al D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 20 e segg., nelle ipotesi di reati istantanei già perfezionatisi (sez. 3^, 4 novembre 2005, n. 47228, Greco, m. 233190) o nelle ipotesi in cui l’organo di vigilanza non abbia impartito al contravventore alcuna prescrizione, per la già avvenuta spontanea regolarizzazione ( sez. 3^, 1 febbraio 2005, n. 9474, Pesciaroli, m. 231217). La finalità dell’istituto, infatti, non può più essere individuata solo nello scopo di interrompere l’illegalità e di ricreare le condizioni di sicurezza previste dalla normativa a tutela dei lavoratori (cfr. sez. 3^, 4 novembre 2005, n. 47228, Greco, cit.), ma altresì in quello di permettere in via generale l’estinzione amministrativa del reato, anche quando non vi sono regolarizzazioni da effettuare perché il reato è istantaneo o perché la regolarizzazione è già spontaneamente avvenuta.

Esattamente, pertanto, il giudice a quo ha ritenuto la procedura in esame applicabile nella specie anche in relazione ai reati già consumatisi, per i quali la regolarizzazione era già avvenuta, quali quelli relativi alla visita medica dei minori effettuata in ritardo.

Nel caso di specie, è pacifico che, pur trattandosi di reati in materia di lavoro e di legislazione sociale accertati dagli ispettori della direzione provinciale del lavoro, non è stata seguita la procedura obbligatoria prevista dal D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, art. 15, e dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 20 e segg., in quanto l’autorità amministrativa non ha inviato all’imputata la prescrizione (se necessaria) e comunque l’invito a pagare la somma prevista come sanzione amministrativa ed idonea a determinare l’estinzione del reato.

Del tutto ineccepibilmente, quindi, il giudice ha ritenuto che, non avendo l’autorità amministrativa posto in essere gli adempimenti ai quali era subordinata la comunicazione al Pubblico Ministero della notizia di reato, non si era verificata la condizione di procedibilità cui era subordinato l’esercizio dell’azione penale, che pertanto non avrebbe potuto essere iniziata.

Deve invero ribadirsi che se è vero che il reato contravvenzionale sussiste nella sua perfezione ontologica anche prima che si apra e si chiuda il procedimento amministrativo in questione, che condiziona la prosecuzione e l’esito del procedimento penale, e se è vero che la condotta di inottemperanza all’obbligo di regolarizzazione e di pagamento della sanzione indicato dall’organo di vigilanza, purché ascrivibile al soggetto agente quanto meno a titolo di colpa, integra una condizione di punibilità “intrinseca”, cioè incidente sull’interesse tutelato dalla fattispecie (sez. 3^, 22 gennaio 2004, n. 14777, Ranieri, m. 228467), è anche vero che l’effettivo ed esatto verificarsi, in tutti i suoi passaggi, della procedura amministrativa prevista dalle disposizioni in esame, configura una condizione di procedibilità dell’azione penale. Ed invero, l’obbligo di sospendere il procedimento (salva la possibilità di archiviazione) sino alla comunicazione dell’inadempimento della prescrizione o del mancato pagamento della sanzione amministrativa integra una condizione di procedibilità dell’azione penale, proprio perché il Pubblico Ministero (salve le acquisizioni probatorie cautelari urgenti) non può richiedere il rinvio a giudizio, o il decreto penale di condanna, o il giudizio direttissimo o comunque formulare l’imputazione ai sensi dell’art. 405 c.p.p., sino a che non gli sia pervenuta la comunicazione suddetta (sez. 3^, 22 gennaio 2004, n. 14777, Ranieri, punto 6.1. della motivazione; cfr. anche sez. 3^, 1 ottobre 1998, n. 13340, Curaba, m. 212484).

Il Pubblico Ministero ricorrente sostiene peraltro che il giudice, avendo accertato l’omessa comunicazione all’imputata della facoltà di provvedere al pagamento della sanzione amministrativa, avrebbe dovuto concedere un termine per l’adempimento, ossia per il pagamento della sanzione amministrativa, anche in assenza della richiesta del pubblico ministero e in una fase di giudizio diversa da quella preliminare. Ed a questo proposito invoca la sentenza di questa Sezione del 20 gennaio 2006, n. 6331, Panetta, m. 233.486, la quale ha appunto ritenuto legittima la concessione da parte del giudice del dibattimento di un termine siffatto.

L’assunto del Pubblico Ministero ricorrente non può però essere accolto.

In primo luogo, infatti, questo Collegio non ritiene di poter condividere la soluzione della citata sent. 20 gennaio 2006, n. 6331, Panetta. E ciò sia perché tale decisione si fonda esclusivamente sulla disciplina dettata dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, senza prendere in considerazione le modifiche apportate dal D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, art. 15, le quali invece sono applicabili nella specie e sono state quindi esattamente tenute presenti dal giudice del merito; sia perché tale soluzione è effettivamente priva di un aggancio normativo, che infatti non viene indicato; sia infine perché pretese esigenze di ordine pratico e di economia processuale non sono idonee a sanare inadempimenti ed irregolarità o situazioni che impedivano lo stesso esercizio dell’azione penale. Come dianzi evidenziato, il mancato svolgimento, in tutti i suoi passaggi, della procedura amministrativa prevista dalle disposizioni esaminate impedisce al Pubblico Ministero di richiedere il rinvio a giudizio, o il decreto penale di condanna, o il giudizio direttissimo o comunque formulare l’imputazione ai sensi dell’art. 405 c.p.p., ossia, in altri termini, di esercitare l’azione penale. Non si vede quindi in base a quale principio o norma legislativa il giudice potrebbe, di sua iniziativa, concedere un termine per il pagamento ed in tal modo rendere valida e procedibile una azione penale che non avrebbe potuto essere esercitata. D’altra parte, nemmeno si vede perché questa soluzione dovrebbe trovare applicazione solo nel caso in cui la pubblica amministrazione abbia omesso di intimare il pagamento della sanzione amministrativa e non anche quando abbia omesso di effettuare le prescrizioni per la regolarizzazione. E’ però evidente che non potrebbe essere il giudice a dare le prescrizioni di merito, trattandosi di attività riservata all’apprezzamento discrezionale della pubblica amministrazione, il che appunto conferma la mancanza di fondamento normativo della tesi in esame.

In secondo luogo, la richiamata sentenza n. 6331/2006 ha soltanto ritenuto legittima la concessione da parte del giudice del dibattimento di un termine per pagare la sanzione amministrativa, ma non ha certamente affermato che il giudice dovrebbe obbligatoriamente sostituirsi alla pubblica amministrazione e concedere tale termine.

Pertanto, anche se si volesse condividere la soluzione adottata dalla detta decisione, in nessun caso potrebbe censurarsi la sentenza impugnata solo perché nella specie il giudice non ha invece ritenuto di concedere il detto termine per il pagamento dichiarando – del tutto correttamente – improcedibile l’azione penale.

Il ricorso del Pubblico Ministero deve pertanto essere rigettato.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 6 giugno 2007.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2007

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