Gentili colleghi,
ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA segnala la Sentenza n. 23171/2016 del 09/02/2016 della Corte di Cassazione “Cantiere sotto soglia, Committente, Datore di Lavoro Committente, Idoneità tecnico professionale”< 1° Parte.
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Sentenza della Corte di Cassazione n. 23171/2016 del 09/02/2016<
sul ricorso proposto da:
Xxxxx xxxx n. 01/xx/1949
Yyyyyyyy yyyyyyy n. 01/yy/1964
avverso la sentenza n. 4722/14 CORTE di APPELLO di NAPOLI, in data 06/02/201523/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
fatta la relazione dal Cons. dott. Gabriella CAPPELLO;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. Fulvio BALDI che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Uditi, per le parti civili, l’Avv. Alessandro Vincenzo del foro di Nola per Bbbbb bbbbb bbbbbbb e, in sostituzione dell’Avv. Picca Francesco del foro di Nola per Zzzzzzzzz ccccccccc, Zzzzzzzzz ddddddd e Zzzzzzzzz eeeeeeee, che si è riportato alle conclusioni e nota spese che ha depositato in udienza anche per l’Avv. Picca Francesco; il difensore di Xxxxx xxxx e Yyyyyyyy yyyyyyy, Avv. Pignatelli Angelo del foro di Napoli, il quale ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; e l’Avv. Guida Giuseppe del foro di Nola per Xxxxx xxxx e Yyyyyyyy yyyyyyy, il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 23/06/2014, la Corte d’appello di Napoli ha confermato quella del Tribunale di Noia, appellata dagli imputati Xxxxx xxxx e Yyyyyyyy yyyyyyy, con la quale i predetti erano stati condannati per il reato di omicidio colposo, n.q. di committenti di un’opera edile, da eseguirsi in un cantiere ubicato alla via Quattromani di Brusciano
2. Secondo la prospettazione accusatoria, gli odierni imputati, agendo in cooperazione colposa con Ffffffff fffffff, legale rappresentante della ditta appaltatrice dei lavori “Ff Costruzioni Generali fratelli ffffffff s.r.l.” (che ha definito la sua posizione processuale con sentenza di applicazione della pena), concorrevano nel cagionare per colpa generica e specifica, consistita quest’ultima nella violazione degli artt. 3 co. 8 e 4 del d. lgs. 494/96, la morte dell’operaio Zzzzzzzz zzzzzzzzz (soggetto già in pensione, ma che occasionalmente prestava attività lavorativa per la ditta appaltatrice), il quale, dovendo effettuare lavori di “tompagnatura” e trovandosi su una mensola posta al secondo piano del fabbricato in costruzione, perdeva l’equilibrio e, rovinando violentemente al suolo da un’altezza di circa due metri, riportava lesioni gravissime che ne cagionavano il decesso.
Gli accertamenti esperiti nell’immediatezza dagli ispettori dell’ASL e dal consulente del P.M. consentivano di affermare che la caduta accidentale dell’operaio era da attribuire alle condizioni precarie del cantiere, del tutto sprovvisto di qualsivoglia forma di protezione o barriera, idonea ad impedire le cadute dall’alto e a garantire al lavoratore lo svolgimento delle proprie mansioni in condizioni di sicurezza.
In particolare, era emerso che l’intero edificio, nel quale erano in corso detti lavori di “tompagnatura”, nonchè gli spazi dei balconi prospicienti il vuoto erano privi dei presidi di cui al d.P.R. 164/56 (ponteggi, parapetti e passatoie); dette violazioni erano collegate alla omessa redazione del documento di valutazione dei rischi e del piano di sicurezza che individuasse i pericoli esistenti per quello specifico tipo di lavorazione e le misure necessarie per farvi fronte.
L’affermazione della penale responsabilità degli imputati è strettamente collegata alla posizione di garanzia assunta, quali committenti dell’opera, in assenza di un responsabile dei lavori, per culpa in eligendo per non avere verificato cioè l’idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice a svolgere quel tipo di lavorazione e per non avere attivato i poteri di inibizione dei lavori per mancanza di una corretta dotazione di uomini e mezzi, a causa delle carenze ictu ocu/i riscontrabili in cantiere.
3. Gli imputati hanno proposto ricorso a mezzo dei propri difensori.
3.1. L’imputata XXXXX ha formulato due motivi.
Con il primo, ha dedotto la violazione e falsa applicazione della legge, in relazione agli artt. 113, 589 cod. pen., art. 3 comma 8 e 4 d. lgs. 494/96 e 43 cod. pen., contestando la ricostruzione dell’obbligo di verifica dell’idoneità dell’impresa appaltatrice dei lavori.
Con il secondo, ha censurato la motivazione della sentenza, assumendone la illogicità e contraddittorietà, oltre che la mancanza, con riferimento alle stesse circostanze cui è stata agganciata la violazione di legge.
3.2. Con separato ricorso, nell’interesse anche dell’imputato Yyyyyyyy yyyyyyy, sono stati formulati due distinti motivi.
Con il primo, si è dedotta violazione di legge con riferimento all’art. 3 comma 8 citato, contestandosi l’esistenza di un obbligo di inibizione e/o sospensione dell’inizio dei lavori da impartire al datore di lavoro nel caso in cui costui abbia omesso di allestire le idonee misure di prevenzione anti infortunistiche, obbligo che la legge pone in capo al coordinatore per l’esecuzione, non designato nel caso di specie, trattandosi di cantiere “sotto soglia”.
Con il secondo motivo, si è dedotto vizio motivazionale con riferimento alla ritenuta consapevolezza da parte dei committenti della mancanza totale di opere provvisionali e dell’avvenuto inizio della seconda fase dei lavori.
3.3. Con due successive memorie, depositate il 03/02/2015, la difesa degli imputati ha sviluppato le proprie argomentazioni, invocando con l’una l’annullamento della condanna anche sotto l’ulteriore profilo riguardante l’irregolarità del rapporto di lavoro della vittima; con l’altra, presentata nell’esclusivo interesse dell’imputata XXXXX, ha allegato giurisprudenza di questa sezione, con specifico riferimento alla diversa modulazione del dovere di sicurezza rispetto alle distinte posizioni del datore di lavoro e del committente di opere edili.
Considerato in diritto
1. I motivi di ricorso proposti nell’interesse dell’imputato YYYYYYYY sono infondati, dovendo, al contrario, il ricorso essere accolto quanto all’imputata XXXXX.
2. Il giudice d’appello ha condiviso e fatto propria la ricostruzione fattuale operata nella sentenza di primo grado, sulla scorta di risultanze probatorie, neppure
contestate dagli appellanti, operando un rinvio all’evoluzione normativa della posizione di garanzia che assume il committente e ricostruendo quella dei due imputati alla luce dell’art. 3 comma 8 del d. lgs. 494/96, secondo cui il committente, nelle varie fasi di progettazione ed esecuzione dell’opera, è tenuto a verificare l’idoneità tecnico professionale dell’impresa esecutrice, anche attraverso l’iscrizione alla Camera di Commercio Industria e Artigianato. L’articolo richiamato è applicabile anche ai cantieri, come quello in esame, cc.dd. “sotto soglia”, in cui è impegnata cioè una sola ditta appaltatrice.
Secondo la Corte d’appello, tale dovere deve esplicarsi non solo nella fase della scelta dell’impresa, mediante un controllo di tipo puramente documentale, ma anche nelle successive fasi dell’attività svolta nel cantiere, a meno di voler confinare il ruolo del committente negli angusti limiti di un controllore “burocrate”, in maniera tuttavia incongruente rispetto alla ratio legis. Per la Corte di merito, tale obbligo deve esercitarsi in concreto, in relazione alla tipologia dell’opera e investire, pertanto, anche la capacità dell’impresa ad apprestare le opere provvisionali necessarie in un cantiere edile di dimensioni non certamente limitatissime.
A fronte di una simile posizione di garanzia, fonte di specifici doveri di salvaguardia, nel caso concreto era emersa l’inadeguatezza, anche sotto il profilo strettamente dimensionale, dell’impresa.
Quanto alla ricostruzione degli elementi di fatto della fattispecie, il giudice del
gravame ha operato un rinvio al coacervo probatorio analizzato dal Tribunale (verbale di accertamenti urgenti, documentazione fotografica, consulenze tecniche del P.M. e della difesa, verbali di s.i.t., dichiarazioni ex art. 210 cod. proc. pen. di Ffffffff fffffff e FFFFFFF Rocco), quanto alla cause del decesso della vittima, alla dinamica dell’infortunio mortale, neppure contestata dagli appellanti, e al ruolo svolto dall’YYYYYYYY.
Ha così ritenuto accertate le seguenti decisive circostanze:
1) il ZZZZZZZZZ era precipitato da una delle mensole, poste al secondo piano della struttura già eretta, intento a lavorare in completa assenza di protezione sull’aggetto;
1) l’opera non poteva essere considerata di minima entità, implicando la costruzione di un edificio di ben tre piani;
2) la ditta appaltatrice era inadeguata sotto il profilo dimensionale [sulla scorta del raffronto tra il dato immediatamente rilevabile dal cartello affisso presso il cantiere (che indicava una forza lavoro media di tre operai) e quanto riscontrato dall’ispettore ASL il giorno del decesso del ZZZZZZZZZ (allorché erano al lavoro ben sette operai, di cui uno solo in regola)];
3) al momento del decesso mancava nel cantiere qualsivoglia dotazione di sicurezza, non era stato adottato il P.O.S., né allestite le opere provvisionali e le dotazioni di sicurezza normativamente previste, come caschi, cinture di sicurezza, ponteggi e protezioni per evitare le cadute dall’alto (ciò sulla scorta del verbale ispettivo A.S.L. e della relazione del consulente del Pubblico Ministero);
4) in particolare, quanto alla violazione degli obblighi da parte del datore di lavoro, oggetto a loro volta dell’obbligo di verifica in capo ai committenti, era stata dimostrata l’omessa valutazione dei rischi [misura generale prevista dalla lett. a) dell’art. 3 del divo. 626/94, riconducibile all’obbligo di redazione del P.O.S. in base al disposto dell’art. 9 del d. lgs. 626/94 (oggi art. 96 d. lgs. 81/2008<)] e l’omessa predisposizione delle misure di tutela di cui alle lett. c) ed e) dell’art. 3 citato (il tutto come da
documentazione fotografica, relazione del consulente del Pubblico Ministero e dichiarazioni rese da costui all’udienza del giorno 01/10/2012);
5) tali carenze erano rilevabili dalla committenza, trattandosi di cantiere in atto da tempo, che aveva ripreso l’attività, dopo una sospensione, e nel quale doveva procedersi alla “tompagnatura” interna ed esterna degli immobili (lavoro che, riguardando una costruzione a più piani, avrebbe aumentato il rischio di caduta dall’alto, contemplando attività da svolgersi in zone immediatamente prospicienti il vuoto);
6) l’YYYYYYYY era solito portare il caffè in cantiere tutti i giorni (sul punto, il giudice d’appello ha richiamato alla pag. 3 della sentenza impugnata l’osservazione difensiva formulata con il gravame a proposito delle dichiarazioni in tal senso rese dal coimputato Ffffffff fffffff, sentito ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.: secondo la difesa, infatti, tali dichiarazioni riguarderebbero solo la prima fase dei lavori, in virtù del fatto che la seconda fase era iniziata qualche giorno prima dell’incidente e che il FFFFFFF aveva affermato di essere stato in cantiere solo la mattina, perché nel pomeriggio si era sottoposto a delle terapie);
7) non erano stati attivati i poteri di inibizione dell’inizio/prosecuzione dei lavori, a fronte delle macroscopiche carenze di cui sopra;
8) la totale assenza di opere di protezione, atte ad evitare la caduta dei lavoratori dall’alto, aveva confermato l’esistenza di una macroscopica fonte di pericolo, strettamente connessa al tipo di attività da compiersi in esecuzione della seconda fase dei lavori.
Sempre con riferimento agli elementi di fatto che hanno sorretto la decisione censurata, va pure richiamata la conclusione per la quale tra le parti erano stati stipulati due distinti contratti verbali di appalto.
Tale assunto è fondato sulle stesse affermazioni fatte dal consulente della difesa nel proprio elaborato. Costui aveva distinto cronologicamente i lavori in due diverse fasi: la prima, iniziata nel 2006 e ultimata nel marzo/aprile 2007; la seconda, avente ad oggetto la realizzazione della “tompagnatura”, iniziata il 15/06/2007, dopo circa tre mesi, quindi, dall’ultimazione della precedente. Il contratto d’appalto era stato stipulato solo verbalmente tra le parti ed aveva contemplato unicamente la prima delle due fasi (quella, cioè, concernente l’erezione della struttura portante dell’edificio). Da ciò quel giudice ha ricavato – come logica, quanto ineluttabile conseguenza – che la ripresa dei lavori non avrebbe potuto prescindere da un nuovo accordo delle parti, sia sull’inizio dei lavori, che sulle loro concrete modalità, il che vale quanto affermare che fra le stesse sopravvenne un nuovo contratto di appalto verbale prima della ripresa dei lavori avvenuta il 15/06/2007.
Infine, stante il rinvio agli elementi di prova esposti nella sentenza di primo grado, deve pure ritenersi accertato, in base alle richiamate deposizioni di FFFFFFF Rocco e Ffffffff fffffff, che i lavori di “tompagnatura” (quelli cioè relativi alla seconda fase) furono iniziati proprio su sollecitazione dell’YYYYYYYY (cfr. pag. 10 della sentenza di primo grado).
In definitiva, per il giudice d’appello, l’omissione del controllo e la mancata adozione dei provvedimenti inibitori da parte dei committenti, a fronte delle macroscopiche inadeguatezze della ditta e delle vistose irregolarità del cantiere, hanno costituito condotte colpose causalmente collegate all’evento morte, e ciò al di là della insussistenza dell’obbligo di nominare un coordinatore di sicurezza o della mancata ingerenza nell’attività dell’appaltatore, su cui ha insistito parte appellante, perdendo centralità per la Corte di merito anche la questione relativa alla presenza o meno dell’YYYYYYYY sul cantiere il giorno dell’infortunio mortale o nei giorni ad esso antecedenti, non potendosi neppure seriamente dubitare che gli imputati fossero al corrente della ripresa dei lavori e della tipologia delle opere da eseguirsi.
3. Lo sforzo difensivo degli imputati si è incentrato, sin dai motivi del gravame, sulla negazione dell’esistenza di una posizione di garanzia degli imputati, n.q. di committenti dell’opera, concorrente con quella del datore di lavoro e sulla contestazione della insufficienza della verifica condotta sulla idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice prescelta.
In particolare, quanto all’imputata XXXXX, la difesa ha opposto al ragionamento condotto dalla Corte d’appello l’assunto secondo cui tale obbligo si risolverebbe in un adempimento di tipo documentale, nel caso di specie puntualmente effettuato, senza ricomprendere un controllo di tipo allargato, delineato dal giudice del gravame sulla scorta di un precetto non rinvenibile nella norma applicata, avuto riguardo alla presenza nel cantiere di un’unica impresa (c.d. cantiere “sotto soglia”).
Tale diversa ridotta ampiezza della portata precettiva della norma, sarebbe avvalorata dalla mancata previsione di un obbligo di nomina dei coordinatori di progettazione ed esecuzione dei lavori nei cantieri con un’unica impresa, laddove il più ampio dovere di verifica non potrebbe ricavarsi da un generale ed astratto obbligo di tutela come descritto dall’art. 3 del d. lgs. 626/94, trasfuso nell’art. 15 del d. lgs. 81/2008<, poiché trattasi di norma priva di contenuto precettivo e sanzionatorio e dei connotati propri della finalità cautelare, con carattere meramente descrittivo delle misure generali di tutela.
Si è poi contestata la violazione dell’ulteriore obbligo di controllo ed intervento, secondo le norme di cui agli artt. 2 e 3 del d. lgs. 494/96, rilevandosi che i lavori iniziarono nel novembre 2006, proseguendo sino al successivo marzo 2007, allorché furono sospesi per ragioni amministrative, riprendendo 5 giorni prima dell’evento mortale (esattamente il 15/06/2007) e che sarebbe stato necessario dimostrare la sussistenza di specifici presupposti per fondare l’addebito di responsabilità (conoscenza della ripresa dei lavori, presenza della XXXXX in cantiere, conoscenza della violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, assunzione di una posizione di garanzia di fatto), al contrario mai provati, poiché lo stesso direttore dei lavori, in un separato giudizio civile, aveva affermato di essere stato all’oscuro della ripresa di essi e di non avere riscontrato alcuna violazione delle norme di cui sopra sino al marzo 2007.
La parte ha obiettato che la responsabilità della XXXXX come committente sarebbe dipesa dalla sola circostanza di essere la stessa firmataria del contratto e proprietaria dell’immobile, senza che costei abbia svolto, di fatto, alcuna incombenza riconducibile alla sua qualità: l’impresa non la conosceva, avendo trattato solo con l’YYYYYYYY; fu costui ad effettuare i pagamenti, come documentalmente provato; la XXXXX non si recò mai in cantiere, né mai svolse attività con esso pertinenti; la stessa Corte, infine, ha evidenziato la presenza dell’YYYYYYYY in cantiere, ignorando del tutto la XXXXX (cfr. pagg. 9 e 10 del ricorso proposto nell’interesse dell’imputata XXXXX).
Dal punto di vista strettamente motivazionale, poi, le censure dedotte con il secondo motivo si focalizzano sulla descrizione degli obblighi che si assumono violati, sulla esaustività degli adempimenti documentali, sulla ragione per cui le attività – comunque approntate dal committente – erano state ritenute inidonee, ancorché la norma di cui all’art. 3 comma 8 citata non specifichi il significato della “verifica di idoneità”.
Si è pure sottolineata la contraddizione insita nel ragionamento condotto dal giudice d’appello il quale, dopo aver ritenuto esistente la violazione dell’obbligo di verifica di cui sopra, ha attribuito rilievo all’obbligo di controllo e governo delle fonti di pericolo, inferendo la consapevolezza delle trasgressioni del datore di lavoro sulla scorta di due fatti (lo svolgimento dei lavori in due distinte fasi, a causa della sospensione, e la previsione nel contratto d’appalto della sola prima fase di costruzione della struttura portante), alla luce dei quali risulterebbe dimostrato che la ripresa dei lavori il 15/06/07 era stata concordata con la committenza e che, quindi, era stato sostanzialmente concluso un nuovo contratto di appalto.
A tali argomenti la difesa dei due imputati ha aggiunto ulteriori osservazioni, rilevando che al committente può attribuirsi solo un ruolo di super controllo, consistente nella verifica che il coordinatore adempia agli obblighi su di esso incombenti, senza però che in tale obbligo possa ricondursi anche un dovere di verifica e controllo sull’impresa esecutrice, esercitabile attraverso poteri di inibizione e/o sospensione e addirittura di imposizione di tempi e modalità di allestimento delle misure prevenzionali mancanti.
Si è così osservato che, nel caso all’esame, trattandosi di un cantiere “sotto soglia”, non era stato nominato un coordinatore, ma i committenti avevano di fatto delegato la verifica tecnico-professionale dell’impresa al direttore dei lavori, come chiarito anche dal C.T.U. Bertoldo. Cosicché, dalla prospettiva soggettiva dei committenti, era logico aspettarsi che misure prevenzionali analoghe a quelle approntate nella prima fase dei lavori, sarebbero state realizzate anche per la seconda, per la quale non si era neppure perfezionato l’accordo sui prezzi ed i materiali, con conseguente ignoranza da parte dei committenti dell’avvenuta ripresa dei lavori. La difesa ha obiettato che nessun elemento dimostrerebbe l’avvenuta stipula di un secondo contratto e che, anche a voler ritenere raggiunto detto accordo, esso non dimostrerebbe la conoscenza della ripresa dei lavori in capo ai committenti.
Infine, si è rilevato che la corretta individuazione dei poteri esercitabili da parte dei committenti sminuisce la valenza probatoria che la sentenza attribuisce al c.d. giudizio controffattuale svolto per collegare all’evento la condotta di omessa attivazione dei poteri di inibizione dell’inizio/prosecuzione dei lavori.
Con specifico riferimento, poi, alla presunta consapevolezza degli imputati in ordine alla ripresa dei lavori, la difesa ha rilevato che i committenti non avrebbero potuto ingerirsi sino al punto di sindacare la predisposizione delle opere provvisionali e/o di protezione per la salute e la sicurezza dei lavoratori, a maggior ragione nel caso all’esame in cui l’impresa era unitaria ed incombeva solo ad essa garantire la sicurezza del cantiere, salva la dimostrazione che i committenti avessero assunto un ruolo attivo nella conduzione e realizzazione dell’opera, mediante direttive e/o istruzioni incidenti sull’organizzazione del cantiere, ruolo però mai dimostrato nel processo.
3.1. Le argomentazioni svolte con le memorie successivamente depositate contribuiscono ad arricchire i già articolati rilievi mossi al percorso logico-argomentativo, attraverso il quale il giudice del gravame ha ritenuto di individuare una violazione degli obblighi di controllo e inibizione da parte degli imputati committenti, osservandosi da parte ricorrente, anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza recente di questa sezione, che il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di appalto o esecuzione d’opera, incombe tanto in capo al datore di lavoro che al committente, ma su quest’ultimo esso non si configura automaticamente, non potendosi esigere un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori.
Si è ribadito, quanto alla seconda fase dei lavori, che i committenti non avevano autorizzato la “tompagnatura” dell’opera, ciò essendo stato apoditticamente affermato, con travisamento di una circostanza di fatto, il che spiegherebbe ovvi riflessi anche sotto il profilo dell’accertamento dell’ingerenza nella esecuzione dei lavori, poiché solo la prova certa che i committenti sapessero della ripresa dei lavori e che in cantiere non erano state allestite le opere provvisionali a tutela dei lavoratori potrebbe fondare l’addebito e giustificare la presunta percezione della situazione di pericolo.
Quanto all’ulteriore profilo segnalato dalla difesa nella memoria depositata nell’interesse di entrambi gli imputati il 03/02/2016, con la quale è stato pure allegato uno stralcio della relazione di consulenza tecnica di parte, si è rilevato che la circostanza che l’infortunio si fosse verificato ai danni di un lavoratore non regolarmente assunto, da ritenersi perciò privo di formazione e informazione sull’attività da espletare, era stata ignorata dal giudice del gravame, trattandosi invece di situazione che costituisce rimprovero imputabile solo al datore di lavoro e non gestibile e/o prevenibile da parte dei ricorrenti.
4. La valutazione di questa Corte deve essere preceduta da alcune precisazioni preliminari.
Gli imputati sono stati chiamati a rispondere del reato loro contestato per colpa generica e per colpa specifica, individuata quest’ultima nella violazione delle norme anti infortunistiche riconducibili alla qualità di committenti privati di un’opera edile, per la cui esecuzione era stato allestito un cantiere che vedeva impegnata una sola ditta (cantiere c.d. sotto soglia), senza obbligo, quindi, per il committente di nominare un coordinatore per la progettazione e un coordinatore per la esecuzione dei lavori.
Quanto alla cornice normativa nella quale è inquadrata la posizione di garanzia riconosciuta in capo ai committenti, la Corte d’appello, dato atto della intervenuta abrogazione del d. lgs. 494/96 a seguito dell’introduzione del T.U. di cui al d.lv. 81 del 2008<, nel quale le norme del primo sono state sostanzialmente trasfuse, ha ritenuto esistente una continuità normativa tra la disposizione di cui all’art. 3 co. 8 del d.lgs. 494/96 e l’art. 90 del d. lgs. 81/2008<, dando altresì atto del rinvio che lo stesso art. 3 comma 1 del d. lgs. 494/96 opera alle misure generali di tutela di cui all’art. 3 del d. lgs. 626/94 (oggi trasfuse nell’art. 15 del d. lgs. 81/2008< cui rinvia l’art. 90 citato).
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