Cass. Pen., sez. III – sent. N. 893 del 12 gennaio 2018 – Impianto di aspirazione, Masticiatura, Tenuità del fatto, Sezioni Unite Tushaj, Sostanze chimiche nocive.

Cass. Pen., sez. III – sent. N. 893 del 12 gennaio 2018 – Impianto di aspirazione, Masticiatura, Tenuità del fatto, Sezioni Unite Tushaj, Sostanze chimiche nocive.

Sentenza della Corte di Cassazione n. 893/2018 del 12.01.2018 – Impianto di aspirazione, Masticiatura, Tenuità del fatto, Sezioni Unite Tushaj, Sostanze chimiche nocive.

Penale Sent. Sez. 3 Num. 893 Anno 2018; Presidente: CAVALLO ALDO; Relatore: DI NICOLA VITO; Data Udienza: 28/06/2017

SENTENZA

sul ricorso proposto dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze nei confronti di

Gxxxxxxxx Nxxx, nato ad Incisa in Val d’Arno il 19-04-1954

avverso la sentenza del 08-03-2016 del tribunale di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udito il Procuratore Generale in persona del dott. Luigi Birritteri che ha concluso per l’annullamento con rinvio;

udito per il ricorrente l’avvocato Fabio Sarra che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. È impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Firenze ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Nxxx Gxxxxxxxx in ordine al reato a lei ascritto pe r la particolare tenuità del fatto.

Nei confronti dell’imputata si è proceduto per il reato di cui agli articoli 64, comma 1, e 68, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in quanto, nella qualità di datore di lavoro, non aveva provveduto affinché i luoghi di lavoro fossero conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, comma 1, punto 2.1.5. dell’allegato 4. In particolare le operazioni di masticiatura con l’utilizzo di sostanze chimiche nocive quali 8600 e Fixon Neutro Forte, venivano effettuate in assenza di un impianto di aspirazione.

  1. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente solleva un unico complesso motivo con il quale denuncia l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettere b), del codice di procedura penale), sul rilievo che erroneamente il tribunale ha ritenuto che la mera eliminazione della situazione antigiuridica integri il requisito richiesto dall’art. 131-bis del codice penale.

Invece, l’eliminazione della situazione dannosa o pericolosa del reato può essere apprezzata esclusivamente ai fini della determinazione della pena ai sensi dell’art. 62, 62-bis e 133 del codice penale.

Con riferimento alle contravvenzioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro è infatti prevista una speciale causa di non punibilità dal decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, che mira, da un lato, ad assicurare l’effettività dell’osservanza delle misure di prevenzione e di protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, materia in cui l’interesse alla regolarizzazione delle violazioni, e alla correlativa tutela dei lavoratori, è di gran lunga prevalente rispetto all’applicazione della sanzione penale. L’esigenza di privilegiare il momento della rimozione della situazione pericolosa rispetto al profilo sanzionatorio ha indotto il legislatore a prevedere la procedura estintiva, con il pagamento di una sanzione amministrativa; a prescindere dalla gravità della situazione antigiuridica accertata.

Così invece non è per la causa di non punibilità prevista dall’articolo 131-bis del codice penale, la cui applicabilità è subordinata ad una valutazione del modalità della condotta e della esiguità del danno o del pericolo, e ciò con riferimento alla situazione accertata anteriormente all’adozione delle prescrizioni da parte dell’organo di vigilanza.

Nel caso di specie il Tribunale si è limitato ad affermare che “l’offesa risulta di lieve entità economica”. Tale conclusione sarebbe stata assunta sulla base di un erronea interpretazione della legge, essendosi ritenuto, a torto, che la sola eliminazione della situazione antigiuridica comportasse una lieve entità dell’offesa.

Occorre, invece, a tal fine fare riferimento al capo di imputazione.

All’imputato è contestato di aver fatto svolgere ai lavoratori operazioni di masticiatura con l’utilizzo di sostanze chimiche nocive in assenza di impianto di aspirazione. E’ di assoluta evidenza che ciò abbia determinato una situazione di pericolo grave e, comunque, certamente non esiguo. Non risulta, infatti, alcuna circostanza specifica (quale, ad esempio, che l’esposizione si sia verificata per un lasso di tempo del tutto trascurabile) che possa far ritenere esiguo il pericolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è fondato.
  2. Il tribunale, dopo aver chiarito che l’imputata aveva provveduto ad eliminare le conseguenze dannose derivanti dal reato sebbene con modalità difformi da quelle prescritte dall’organo di vigilanza e perciò precludendosi l’ammissione al pagamento delle sanzioni amministrative, ha affermato che i fatti contestati alla ricorrente potessero essere astrattamente ritenuti di particolare tenuità e – dopo aver chiarito che la causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis del codice penale non era preclusa dal limite edittale previsto per il reato contestato, che l’offesa risultava di lieve entità economica, che il comportamento non poteva definirsi abituale e che i precedenti penali dell’imputata non erano ostativi perché risalenti nel tempo – ha ritenuto che la valutazione della particolare tenuità del fatto dovesse essere eseguita sulla globalità della situazione e sulla personalità del reo nonché sulla documentazione a disposizione che, nel caso in esame, aveva evidenziato la volontà di eliminare le conseguenze dannose connesse al fatto così come contestato, stimando applicabile, sulla base di queste ragioni, la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’articolo 131-bis del codice penale.
  3. Rispetto alla descritta valutazione, il ricorrente obietta che la ratio decidendi sia stata condizionata da una valutazione, vale a dire l’eliminazione da parte dell’imputata delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, estranea alle regole di giudizio richieste per l’applicabilità o meno della causa di non punibilità in questione, che invece avrebbero imposto valutazioni parametrate sul fatto storico, come descritto nell’imputazione, al fine di stabilire se, avuto riguardo alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa fosse o meno di particolare tenuità.

Il rilievo è condivisibile.

  1. Le Sezioni Unite Tushaj hanno insegnato che il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza.

Da ciò consegue che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen. Si richiede, in breve, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta; e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto, tanto sul fondamentale rilievo che il disvalore penale del fatto, per assegnare allo stesso l’attributo della particolare tenuità, dipende dalla concreta manifestazione del reato, che ne segna perciò il disvalore.

Nel pervenire a tale conclusione, le Sezioni Unite Tushaj hanno ritenuto illuminante il riferimento testuale, contenuto nell’articolo 131-bis del codice penale, alle modalità della condotta, segno che la nuova normativa non si interessa tanto della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, anche in considerazione delle componenti soggettive della condotta stessa, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena.

In altri termini, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, occorre avere riguardo, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite Tushaj, al fatto storico, alla situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente perché non è in questione la conformità del fatto al tipo (la causa di non punibilità presuppone l’esistenza di un fatto conforme al tipo ed offensivo ma il cui grado di offesa sia particolarmente tenue tanto da non richiedere necessità di pena), bensì l’entità del suo complessivo disvalore e questo spiega il riferimento alla connotazione storica della condotta nella sua componente oggettiva e soggettiva.

La necessità pertanto di compiere le valutazioni di cui si discute alla luce dell’art. 133, primo comma, cod. pen. mette in campo, oltre alle caratteristiche dell’azione e alla gravità del danno o del pericolo, anche l’intensità del dolo e il grado della colpa, per cui essendo richiesta, nell’ottica delle Sezioni Unite, la ponderazione della colpevolezza in termini di esiguità e quindi la sua graduazione, è del tutto naturale che il giudice sia chiamato ad un apprezzamento di tutte le rilevanti contingenze che caratterizzano ciascuna vicenda concreta ed in specie di quelle afferenti alla condotta; ed anche riguardo alla ponderazione dell’entità del danno o del pericolo occorre compiere una valutazione mirata sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze, sicché l’esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza. E potrà ben accadere che si sia in presenza di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentemente, fermo restando che la valutazione inerente all’entità del danno o del pericolo non è da sola sufficiente a fondare o escludere il giudizio di marginalità del fatto (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 e in motiv.).

  1. Ad avviso del Collegio, da tutto ciò deriva come la particolare tenuità dell’offesa costituisca la risultante della positiva valutazione tanto delle modalità della condotta nella sua componente oggettiva (avuto riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell’azione ex articolo 133, comma 1, n. 1) del codice penale) e nella sua componente soggettiva (avuto riguardo all’intensità del dolo o al grado della colpa ex articolo 133, comma 1, n. 3) del codice penale), quanto del danno o del pericolo (avuto riguardo all’entità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato ex articolo 133, comma 1, n. 2) del codice penale).

Anche se all’interno di ogni indicatore il giudice sarà chiamato ad operare un bilanciamento tra i vari elementi del caso concreto (riferito all’episodio della vita ed alle specifiche e singolari forme di manifestazione del reato, che ovviamente variano da caso a caso pure in presenza della violazione di una stessa norma penale), il giudizio finale di particolare tenuità dell’offesa postula necessariamente la positiva valutazione di tutte le componenti richieste per l’integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel primo comma dell’articolo 131-bis del codice penale sono cumulativi quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità ed alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (infatti, secondo il tenore letterale dell’articolo 131-bis del codice penale, nella parte del primo comma che qui interessa, la punibilità è esclusa quando, (1) per le modalità della condotta e (2) per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità).

Pertanto, il ricorrente fondatamente lamenta che il giudice del merito non ha tenuto conto del fatto storico, oggetto dell’imputazione, nel senso che non ha spiegato le ragioni per le quali l’offesa dovesse ritenersi particolarmente tenue nonostante risultasse che i lavoratori avevano eseguito le operazioni di masticiatura con l’utilizzo di sostanze chimiche nocive in assenza di impianto di aspirazione e senza che risultasse alcuna circostanza specifica (quale, ad esempio, che l’esposizione si fosse verificata per un lasso di tempo del tutto trascurabile) che potesse far ritenere esiguo il pericolo.

È fondata anche l’ulteriore doglianza in ordine al rilievo che il tribunale ha assegnato al comportamento post delictum dell’imputata circa l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose scaturenti dal reato, pervenendo alla conclusione che la sola eliminazione della situazione antigiuridica comportasse una lieve entità dell’offesa.

Sul punto, va chiarito che l’applicabilità della causa di non punibilità in esame non tollera, sulla base del principio di non contraddizione, che un fatto penalmente rilevante possa comportare un’offesa di particolare tenuità quando sia perdurante la lesione o la messa in pericolo del bene giuridico.

Sebbene l’articolo 131-bis del codice penale non si occupi dei reati permanenti (ma la questione potrebbe valere, con le necessarie distinzioni e tenuto conto delle variabili derivanti dalle situazioni specifiche, anche per i reati istantanei con effetti permanenti), la cessazione della permanenza e/o l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose che derivano dal reato – mentre permettono all’imputato di poter invocare la causa di non punibilità altrimenti preclusa dal perdurare della situazione antigiuridica, nel senso che consentono al giudice di operare le valutazioni sulle modalità della condotta e sull’esiguità del danno o del pericolo – non costituiscono indice per ritenere tenue l’offesa, dovendo tale giudizio conseguire, secondo i criteri in precedenza esposti, tanto alla valutazione del “come” il reato si è manifestato mediante la condotta tenuta dall’agente, quanto alla valutazione, rispetto al bene giuridico protetto dall’incriminazione, di “quale” sia stata la dimensione del danno o del pericolo cagionato.

In conclusione, è possibile, da un lato, invocare l’applicazione dell’articolo 131-bis del codice penale quando l’imputato abbia provveduto, con condotta susseguente al reato, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dall’illecito e ciò anche nei casi in cui sia prevista una speciale causa di estinzione del reato (come nel caso in esame di violazione delle norme sull’igiene e la sicurezza del lavoro mediante pagamento di una somma a titolo di oblazione e l’eliminazione di dette conseguenze dannose o pericolose) e l’imputato non se ne sia avvalso o non vi abbia, per qualsiasi motivo, potuto accedere e, dall’altro, la condotta riparatoria, siccome post delictum, non può essere valutata ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, ma esclusivamente ai fini della determinazione della pena, sia perché il giudice, per espressa previsione normativa, deve tenere conto dei criteri di cui all’articolo 133 del codice penale primo comma e non anche secondo comma e sia perché nell’orizzonte cognitivo del giudice di merito devono rientrare, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità in esame, le modalità della condotta, così come manifestatesi con la consumazione del reato, e la dimensione, esigua o meno, del danno o del pericolo.

  1. Il tribunale non si è attenuto ai principi sopra esposti affermando che l’offesa risultava di lieve entità economica (il reato contestato non è una contravvenzione contro il patrimonio), facendo leva soprattutto sull’assenza dei criteri ostativi all’applicabilità della causa di non punibilità ma omettendo di motivare in ordine alla sussistenza degli elementi positivi, desumibili dalla modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo in relazione al fatto storico descritto nell’imputazione ed infine erroneamente assegnando rilievo al comportamento post delictum ossia alla volontà dell’imputata di eliminare le conseguenze dannose connesse al fatto ed a ciò dovrà porre riparo il giudice di rinvio il quale si atterrà ai principi di diritto in precedenza richiamati

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla tribunale di Firenze.

Così deciso il 28/06/2017

Il consigliere estensoreIl Presidente

 

Cass. Pen., sez. III – sent. N. 893 del 12 gennaio 2018 – Impianto di aspirazione, Masticiatura, Tenuità del fatto, Sezioni Unite Tushaj, Sostanze chimiche nocive.

Sentenza della Corte di Cassazione n. 893/2018 del 12.01.2018 – Impianto di aspirazione, Masticiatura, Tenuità del fatto, Sezioni Unite Tushaj, Sostanze chimiche nocive.

DECRETO LEGISLATIVO 19 dicembre 1994, n. 758 Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro. (GU n.21 del 26-1-1995 – Suppl. Ordinario n. 9) note: Entrata in vigore del decreto: 26/4/1995

DECRETO LEGISLATIVO 9 aprile 2008, n. 81 Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. (GU n.101 del 30-4-2008 – Suppl. Ordinario n. 108 ) note: Entrata in vigore del decreto: 15-5-2008. Le disposizioni di cui agli artt. 17, comma 1, lettera a), e 28, nonché le altre disposizioni in tema di valutazione dei rischi che ad esse rinviano, ivi comprese le relative disposizioni sanzionatorie, previste dal presente decreto, diventano efficaci decorsi novanta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale; fino a tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni previgenti. Le disposizioni di cui al titolo VIII, capo IV entrano in vigore alla data fissata dal primo comma dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2004/40/CE; le disposizioni di cui al capo V del medesimo titolo VIII entrano in vigore il 26 aprile 2010.

 

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