Penale Sent. Sez. 4 Num. 1219 Anno 2018; Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO; Relatore: MICCICHE’ LOREDANA; Data Udienza: 14/09/2017
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CXXXXXXXXXXX LXXXX nato il 06/03/1955 a FARRA DI SOLIGO
avverso la sentenza del 10/11/2014 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LOREDANA MICCICHE’
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIELLA DE MASELLIS
che ha concluso per
Il P.G. Dottoressa De Masellis Mariella Conclude per il rigetto.
Udito il difensore
L’avvocato BAROLO PIETRO difensore di CXXXXXXXXXXX LXXXX conclude dopo lunga discussione riportandosi ai motivi,
RITENUTO IN FATTO
- La Corte di Appello di Venezia, con sentenza emessa il 10 novembre 2014, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Treviso nei confronti di Cxxxxxxxxxxx Lxxxx, legale rappresentante della Vxxxx Vxxxx srl, esercente attività di allevamento di bovini, ha dichiarato il Cxxxxxxxxxxx responsabile del reato di cui all’art. 589, commi 1 e 2, cod.pen in quanto, in violazione delle norme antinfortunistiche, aveva cagionato per colpa la morte di Lyyyyyy Fyyyyyyy, operaio dipendente della medesima impresa. Il Lyyyyyy, addetto a un carro miscelatore del mangime sprovvisto di idonea protezione delle lame rotanti e altresì sprovvisto del dispositivo ” presenza uomo” tale da arrestare il movimento delle lame quando l’operatore si allontanava dai comandi e si avvicinava agli organi lavoratori, era scivolato all’interno della vasca di miscelazione e veniva dilaniato dalle lame in movimento (fatto accaduto il 4 gennaio 2008).
- Nella sentenza impugnata, la Corte d’Appello, ribaltando la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto l’imputato esente da colpa in quanto il documento di valutazione dei rischi, redatto da società specializzata, aveva attestato la conformità ai requisiti di sicurezza anche dei macchinari dell’azienda, ha accolto l’appello del Pubblico ministero, affermando che il documento di valutazione dei rischi ha una valenza del tutto generale e non comporta accertamenti specifici circa la conformità alle normative di sicurezza dei singoli macchinari, accertamenti che invece il datore di lavoro avrebbe dovuto eseguire. Se ciò avesse fatto, come impostogli dalla posizione di garante della sicurezza dei lavoratori, avrebbe potuto certamente verificare che il macchinario era sprovvisto del dispositivo ” presenza uomo” , prescritto dalla normativa all’epoca vigente (art. 68 del DPR 547/1955), secondo cui gli organi lavoratori delle macchine devono essere provvisti di dispositivi di sicurezza quando possono costituire un pericolo per i lavoratori) ed anche dalla normativa europea Uni En 703/2004. Per di più, risultava, dall’esame del documento di valutazione dei rischi redatto un anno prima del sinistro, l’estrema genericità e mancanza di analiticità delle valutazioni, in particolare, l’assenza di previsione di alcun rischio per le lavorazioni collegate all’utilizzo del carro miscelatore provvisto di lame rotanti. La Corte territoriale disattendeva inoltre le ulteriori tesi difensive secondo cui, poiché nessuno aveva assistito al mortale infortunio, non sarebbe stato possibile statuire in modo alcuno su presunte attribuzioni di responsabilità, anche perché comunque il fatto si era verificato a causa del comportamento abnorme del lavoratore che non aveva seguito le istruzioni contenute nel libretto della macchina, secondo cui, prima di allontanarsi, avrebbe dovuto spegnere il motore. Ha ritenuto la Corte territoriale che non fosse ipotizzabile alcuna condotta abnorme, posto che l’infortunio si era pacificamente verificato quando la vittima stava lavorando alla macchina desilatrice e quindi nell’esercizio delle mansioni abitualmente disimpegnate dal lavoratore.
- La sentenza è stata impugnata dal Cxxxxxxxxxxx Lxxxx.
3.1 Lamenta il ricorrente, con il primo motivo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett.b) ed e), cod proc. pen. Nessuno, invero, aveva assistito al sinistro, la cui dinamica era stata ricostruita dal CT del PM in base a mere congetture (in particolare, supponendo che il lavoratore fosse salito sulla paratia del mezzo al fine di arrampicarsi per scostare il telo del silos); laddove detta dinamica era comunque smentita dal altre risultanze probatorie. Sul punto, i giudici di merito si erano limitati a qualificare come non abnorme il comportamento del lavoratore poiché collegato alla prestazione lavorativa espletata: si trattava di una mera affermazione disancorata dai dati probatori e quindi priva di motivazione, non essendosi accertato in concreto quale fosse stata la condotta della vittima; si che pertanto non poteva pervenirsi ad una pronuncia di condanna secondo la regola del ragionevole dubbio, per di più nella ipotesi di riforma della sentenza assolutoria, che avrebbe richiesto una motivazione rafforzata. In più, in assenza di certezza circa le modalità di verificazione del sinistro, non sarebbe stato possibile formulare il giudizio contro fattuale, non essendo provate le modalità dell’evento.
3.2 Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione agli artt. 40 e 43 cod pen, e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo. Era stato accertato che le necessità di adeguamento della macchina desilatrice, evidenziate dalla società produttrice Storti, non erano mai state trasmesse alla Vxxxxvxxxx srl. Inoltre, le istruzioni del macchinario, di cui era edotto l’operaio, in ragione della sua pluriennale esperienza, imponevano di togliere le chiavi dal cruscotto nel momento in cui si scendeva dal carro. Inoltre, il documento di valutazione dei rischi, redatto dalla società di consulenza Sinthesi appena un anno prima del sinistro, aveva attestato la conformità dei macchinari alla normativa di sicurezza. Il datore di lavoro, dunque, non poteva essere a conoscenza della esistenza di regole cautelari violate, e dunque la responsabilità dell’evento gli era stata attribuita solo sul piano della causalità e non della colpa, dunque a titolo di responsabilità oggettiva. In particolare, la pronuncia impugnata non aveva minimamente indicato per quali ragioni l’imputato avrebbe dovuto percepire le carenze del documento di valutazione dei rischi e non farvi affidamento.
3.3 Con il terzo motivo, lamenta il ricorrente la violazione di legge, in particolare del giudicato interno, formatosi, quanto alla posizione del titolare della ditta costruttrice, in ordine alla conformità del macchinario alle prescrizioni di sicurezza di cui al DPR 547/55 (artt. 68 ). Del tutto contraddittoriamente ed erroneamente, dunque, si era ritenuto responsabile l’utilizzatore.
3.4. Il ricorrente ha inoltre depositato memoria con motivo aggiunto, con cui denuncia violazione di legge (art. 6 CEDU) per avere la Corte territoriale riformato la sentenza assolutoria di primo grado senza procedere alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso è infondato.
- In via di priorità logica, va esaminata la questione sollevata in sede di motivi aggiunti, relativa alla dedotta necessità di rinnovazione dell’istruttoria. E’ noto che, secondo il recente arresto delle Sezioni Unite, la previsione contenuta nell’art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU – che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne – implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016 Rv. 267487, Dasgupta).
- Nel caso in esame la pronuncia impugnata, che ha ribaltato l’assoluzione pronunciata con la sentenza di primo grado, non si è affatto basata su una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testimoni escussi nel processo, e, pertanto, l’apprezzamento della prova dichiarativa non ha costituito punto decisivo ai fini della condanna dell’imputato. Come dedotto dal ricorrente nei motivi aggiunti, le testimonianze acquisite al giudizio hanno riguardato le modalità di esecuzione delle mansioni espletate dalla vittima dell’infortunio, ossia le operazioni di caricamento dell’insilato sul carro miscelatore. Orbene, sia la pronuncia di primo grado che quella di appello concordano nel ritenere che, anche ipotizzando una grave disattenzione dell’operaio nella esecuzione delle mansioni di caricamento, l’infortunio avrebbe potuto essere evitato, ove fosse state adottate le misure di sicurezza consistenti nella predisposizione di adeguate misure di protezione del carro miscelatore. Le modalità di espletamento delle mansioni di carico, dunque, non hanno costituito punto di contrasto tra le pronunce di primo e secondo grado; né conseguentemente punto decisivo sul quale si è fondato il giudizio di condanna, in riforma della sentenza di assoluzione emessa in primo grado.
- Tanto premesso, non coglie nel segno neppure il primo motivo, con cui si lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto di affermazione del nesso causale sussistente tra l’omissione della condotta doverosa e il mortale infortunio, essendo rimaste del tutto sfornite di prova le reali dinamiche di verificazione del sinistro, cui nessuno aveva assistito, ed essendo comunque ipotizzabile un comportamento abnorme del lavoratore. Come affermato dalla Corte territoriale nonché dal primo giudice ( sul punto, come dianzi ricordato, le due pronunce concordano pienamente, formando pertanto un unico tessuto motivazionale), poiché la vittima era addetta alle usuali operazioni di carico dell’insilato, rientranti tra i compiti attribuitigli, anche ad ipotizzare un condotta errata o imprudente, doveva certamente escludersi la dedotta abnormità del comportamento della vittima. I giudici di merito hanno invero considerato – contrariamente a quanto adombrato dal Cxxxxxxxxxxx – anche le possibili condotte del lavoratore come rappresentate dai testi nel corso dell’istruttoria, ossia la possibilità che il Lyyyyyy fosse salito sulla paratia del carro, o si fosse arrampicato sulla sommità del silos, correttamente argomentando che tutte le descritte condotte erano comunque indiscutibilmente collegate e pertinenti alle operazioni di carico espletate, come tali non eccentriche. Così ritenendo, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei consolidati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell’attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile (cfr. ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 47146 del 29/09/2005, Rv. 233186; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Rv. 250710 Sez. 4 n. 36227 del 26/03/2014, Rv. 259767). Pertanto, è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, Rv. 259313 ). Stesse considerazioni si impongono in ordine alla dedotta efficienza causale esclusiva del comportamento colposo del lavoratore che non aveva rimosso le chiavi dal cruscotto della macchina al momento della discesa dal carro, potendo detta condotta costituire un concorrente comportamento colposo, ma non certamente unico fattore determinante la verificazione del sinistro, che si sarebbe evitato se, invece, il macchinario fosse stato provvisto del necessario dispositivo bloccante. Né ha rilievo la considerazione per cui in assenza di certezza circa le modalità di verificazione del sinistro non sarebbe possibile affermare l’incidenza causale della omissione riguardante la violazione della normativa prevenzionistica, essendo, al contrario, certo che l’adozione del sistema di sicurezza del macchinario consistente nella protezione delle coclee e nella predisposizione del dispositivo ” presenza uomo” atto ad arrestare il movimento delle lame avrebbe impedito che il povero Lyyyyyy venisse dilaniato al momento della caduta all’interno della vasca di miscelazione.
Parimenti infondato è il secondo motivo, con il quale il ricorrente denuncia violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato sotto il profilo della ascritta violazione delle prescrizioni della normativa antinfortunistica e vizio di travisamento della prova riguardo alla valutazione del documento di valutazione dei rischi. Il fondamento della tesi difensiva del Cxxxxxxxxxxx, secondo cui nulla gli sarebbe rimproverabile, atteso che il documento di valutazione dei rischi aveva (anche se erroneamente) attestato la conformità del macchinario alla normativa di sicurezza, è adeguatamente confutata, con specifica motivazione sul punto, dalla impugnata sentenza, secondo cui invece il DVR si presentava estremamente generico e mancante di valutazioni analitiche atte a prevenire in concreto i rischi, soprattutto a fronte delle grandi dimensioni della azienda. Essendo stato dedotto vizio di travisamento probatorio, in quanto, secondo il ricorrente, il DVR aveva invece specificamente analizzato il processo produttivo all’interno della Vxxxxvxxxx prendendo in considerazione anche la macchina desilatrice, questa Corte ha esaminato il documento in questione ( sul punto, vedasi Sez. 2, n. 7266 del 02/06/1994, Rv. 198324; Sez. 1, n. 1647 del 03/12/2003, Rv. 227105 Sez. 4, n. 21602 del 17/04/2007, Rv. 237588 Sez. 4, n. 14732 del 01/03/2011 Rv. 250133 secondo cui ove si deduca il travisamento di una prova decisiva, ovvero l’omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, si deve verificare l’eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l’esistenza della decisiva difformità) . Orbene, all’esito dell’esame del documento è emerso che il DVR, redatto dalla società specializzata Sinthesi, è stato sottoscritto anche dall’odierno imputato in qualità di responsabile per la sicurezza. Inoltre, come correttamente considerato dalla Corte territoriale, il Documento non fa menzione alcuna dei rischi connessi alla lavorazione con la macchina desilatrice, né tantomeno li analizza, essendo a tal proposito del tutto generico e aspecifico l’accenno contenuto alla pag. 20 del documento (richiamato dalla sentenza impugnata), contenente una brevissima citazione circa l’utilizzazione del carro nella fase della alimentazione del bestiame, senza però descrivere, ai fini preventivi, i rischi collegati alla predetta fase e le misure idonee ad evitarli.
4.1 Ciò posto, va rammentato che il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253; Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, Rv. 270355; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261109) . Di tale consolidato e chiaro principio la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione: né l’odierno imputato può invocare l’insussistenza dell’elemento soggettivo, posto che, come evidenziato, il DVR è stato da lui stesso sottoscritto anche in qualità di responsabile per la sicurezza. Egli, dunque, lungi dall’appellarsi ad una incolpevole estraneità riguardo alle carenze del documento in questione, ha fatto proprio, in considerazione della qualifica rivestita e della sottoscrizione del documento, il contenuto del DVR, delle cui carenze è certamente chiamato a rispondere secondo i principi sopra enunciati.
- Consegue a quanto esposto anche l’infondatezza del terzo motivo. Individuata la fonte di responsabilità colposa del ricorrente, non rileva il richiamo alla conformità del macchinario alla normativa vigente al momento della fabbricazione in base al quale i giudici di merito hanno ritenuto di assolvere il costruttore, altro essendo il profilo di colpa ascritto e riconosciuto in capo al Cxxxxxxxxxxx.
4.Si impone quindi il rigetto del ricorso. Segue per legge la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 14 settembre 2017
Il consigliere estensore Loredana Miccichè | Il Presidente Rocco Marco Blaiotta |
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