Prot. 37/0018818
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – settore calcistico – rinuncia alla retribuzione e contribuzione
L’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro ha avanzato istanza di interpello al fine di conoscere il parere di questa Direzione generale in ordine alla ipotesi in cui, in ambito sportivo professionistico, “calciatori e tecnici rinuncino a stipendi già maturati e non ancora corrisposti per svincolarsi in tempi rapidi dalla società e trovare ingaggio altrove”.
In particolare, l’istante chiede se i suddetti atti abdicativi, stipulati in sede sindacale, possano avere ad oggetto anche i contributi previdenziali e assistenziali che risultano dovuti sulla base della retribuzione maturata e non ancora corrisposta; nell’ipotesi negativa, se la contribuzione debba essere calcolata sulle mensilità di stipendio che il lavoratore avrebbe diritto di percepire per contratto oppure sui minimali di legge.
Si domanda, infine, quali siano in tali fattispecie le modalità di compilazione del Libro Unico del Lavoro – L.U.L., tenuto conto che il lavoratore non percepisce le retribuzioni maturate per una o più mensilità
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali, per le Politiche Previdenziali e Assicurativi e dell’Ufficio legislativo, si rappresenta quanto segue.
Ai fini della soluzione dei quesiti sollevati, occorre muovere dall’analisi della L. n. 91/1981, recante norme in materia di rapporti di lavoro tra società e sportivi professionisti, ricomprendendo in tale categoria le figure degli atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI (art. 2).
Si evidenzia che i rapporti di lavoro disciplinati dalle disposizioni della citata Legge sono esclusivamente quelli appartenenti alla tipologia del lavoro subordinato, forma contrattuale tipica per l’assunzione dell’atleta professionista, in quanto nei confronti di quest’ultimo il contratto di lavoro autonomo risulta configurabile solo laddove ricorrano specifici presupposti, quali ad esempio l’assenza di vincolo contrattuale circa la frequenza a sedute di preparazione e allenamento, prestazioni non superiori alle otto ore settimanali, rese nell’ambito di cinque giorni ogni mese o trenta giorni ogni anno (art. 3).
I suddetti rapporti di lavoro subordinato che comportano l’obbligo dello sportivo professionista di espletare la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione della società, in cambio di una retribuzione, presentano alcuni elementi di specialità rispetto al modello tradizionale, declinati dalla medesima Legge n. 91 proprio in ragione delle peculiarità del settore.
Con riferimento al trattamento retributivo, va sottolineato che lo stesso viene concordato in sede di stipulazione del contratto di ingaggio per ogni singolo anno di durata e corrisposto dalla società allo sportivo in dodici rate mensili. La retribuzione annua lorda assorbe ogni altro emolumento ovvero le spettanze per straordinari, trasferte, gare notturne; non può essere inferiore, inoltre, al c.d. “minimo federale”, determinato per ogni singola serie professionistica con separato accordo collettivo tra le parti, ovvero tra ciascuna delle Leghe professionistiche e l’Associazione Italiana Calciatori.
Per quanto riguarda, invece, l’assolvimento degli obblighi contributivi si fa presente che, oltre a quelli concernenti l’assicurazione contro invalidità, vecchiaia e superstiti nonché a quella per le malattie, ai sensi dell’art. 4 della Legge in esame, le società sportive sono tenute a versare un ulteriore contributo al Fondo di accantonamento dell’indennità di fine carriera, calcolato sullo stipendio annuo lordo del calciatore.
Ciò premesso, in ordine al quadro regolatorio, si ritiene utile richiamare il principio espresso dal consolidato orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale il lavoratore non può disporre dei profili contributivi che l’ordinamento collega al rapporto di lavoro, tenuto conto che l’obbligazione previdenziale insorge esclusivamente tra datore di lavoro, soggetto obbligato, ed Istituto, titolare della posizione attiva creditoria; il lavoratore, dunque, rispetto all’obbligazione in esame risulta “terzo” ed esclusivamente beneficiario della prestazione (Cass., sent. n. 9180/2014).
Ne consegue che l’obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dalla circostanza che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del lavoratore, ovvero che quest’ultimo abbia rinunciato ai suoi diritti, in quanto l’Istituto, titolare del diritto di credito contributivo, non può in alcun modo essere pregiudicato da atti dispositivi di terzi, quali nella specie i lavoratori. Si ricorda, peraltro, che l’art. 2115, comma 3, c.c. dispone la nullità dei patti diretti ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza, sancendo in tal modo la regola della non negoziabilità dei diritti previdenziali, neanche qualora prescritti (Cass., sent. n. 10573/1997, n. 3122/2003, n. 17670/2007).
La Corte di Cassazione ha, altresì, sottolineato che l’art. 12 della L n. 153/1969, individuando la retribuzione imponibile in “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro”, va interpretato, alla luce del principio in forza del quale alla base del calcolo dei contributi deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto collettivo o individuale, e ciò dunque anche in presenza di rinuncia del lavoratore alle spettanze retributive già maturate e non corrisposte (cfr. art. 6 del D.Lgs. n. 314/1997).
Le successive modifiche alla Legge del 1969 hanno peraltro confermato “le disposizioni in materia di retribuzione imponibile di cui all’articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389”, secondo il quale “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.
Alla luce delle osservazioni svolte, in risposta alla prima problematica sollevata, si ritiene che nell’ipotesi in cui calciatori e tecnici professionisti rinuncino a stipendi già maturati e non ancora corrisposti, la società sportiva/datore di lavoro sia comunque tenuta ad assolvere agli obblighi contributivi nei termini di legge con riferimento al trattamento retributivo complessivo non erogato stabilito nel contratto individuale, nonché a versare l’ulteriore contributo al Fondo di accantonamento, come sopra precisato.
Per quanto concerne la questione relativa alle modalità di compilazione del Libro Unico del Lavoro, “tenuto conto che il lavoratore non percepisce le retribuzioni maturate per una o più mensilità”, appare sufficiente richiamare precedenti indicazioni di questa Direzione generale esplicitate, tra l’altro, con circolare n. 23/2011 e risposta ad interpello n. 47/2011. In tale occasione è stata infatti evidenziata la necessità di riportare sul LUL “la quantificazione della durata della prestazione o la retribuzione effettivamente erogata”; ne consegue che, nel caso in cui si proceda a conciliazione e in tale sede il lavoratore rinunci alla corresponsione di importi retributivi – peraltro individuati nell’apposito verbale ex art. 411 c.p.c. – gli stessi non andranno indicati sul LUL.
Prot. 37/0007718
Oggetto: libro unico del lavoro – registrazioni infedeli – nozione.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha avanzato istanza di interpello in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 39, comma 7, del D.L. n. 112/2008 (conv. da L. n. 133/2008) in relazione al concetto di infedeli registrazioni sul libro unico del lavoro. Più in particolare l’istante chiede se è possibile configurare l’infedele registrazione delle ore di lavoro e delle somme erogate, quando tali registrazioni siano difformi dalle ore effettivamente svolte dal lavoratore, ovvero dalle somme effettivamente erogate allo stesso.
Si ricorda preliminarmente che, secondo l’art. 39, comma 7 del D.L. n. 112/2008, “salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati di cui ai commi 1 e 2 che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1500 euro e se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 500 a 3000 euro”.
Mentre il concetto di omissione risulta di facile comprensione e, come specificato nel vademecum 5 dicembre 2008, sez. c., n. 5, “è riferibile alle scritture complessivamente omesse e non a ciascun singolo dato di cui manchi la registrazione”, per infedele registrazione dei dati sul libro unico del lavoro occorre valutare quando tale condotta illecita debba considerarsi realizzata.
Questo Ministero, nella circolare n. 20/2008, ha specificato che integra la condotta dell’infedele registrazione la scritturazione di “dati che abbiano riflesso immediato sugli aspetti legati alla retribuzione o al trattamento fiscale o previdenziale del rapporto di lavoro”; nello stesso senso il vademecum (sez. c., n. 6) chiarisce che l’infedeltà delle registrazioni è legata alla registrazione di un dato che risulta “gravemente non veritiero”, e perciò infedele, rispetto alla “effettiva consistenza” della prestazione lavorativa sotto il profilo retributivo, previdenziale o fiscale.
L’interrogativo da sciogliere riguarda dunque la possibilità di rapportare l’infedeltà del dato registrato al parametro dettato dal contratto collettivo di riferimento ovvero alla realtà di fatto, e cioè alla misura delle somme effettivamente percepite dal lavoratore.
In linea con quanto già accennato nel vademecum 5 dicembre 2008, a parere della Scrivente, sembra logico propendere per la riconduzione dell’infedeltà delle scritturazioni alla “realtà di fatto” e cioè alla necessaria corrispondenza fra quanto di fatto erogato e quanto risultante dal LUL. Appare pertanto corretto sostenere che tale illecito si configura ogni qualvolta la quantificazione della durata della prestazione o la retribuzione effettivamente erogata non corrisponda a quella formalizzata sul libro unico.
In via esemplificativa, la sanzione prevista dall’art. 39 citato sarà applicabile nelle ipotesi dei c.d. “fuori busta” o di una indicazione delle ore di lavoro quantitativamente diversa da quelle effettivamente prestate. Viceversa, non sembra corretto applicare la sanzione quando le somme erogate al lavoratore siano effettivamente quelle indicate sul LUL, pur differenziandosi da quanto astrattamente previsto dal contratto collettivo applicabile.
In conclusione, deve quindi ritenersi coerente con il sistema introdotto dal libro unico del lavoro collegare la reazione punitiva alle ipotesi di sostanziale e reale incidenza della condotta illecita sui profili di tutela dei lavoratori che, nel caso dell’infedele registrazione, riguardano la registrazione di dati in modo non corrispondente al vero.
Diversamente argomentando, infatti, si potrebbero verificare situazioni in virtù delle quali, pur in presenza di fenomeni di corresponsione di somme non rispondenti a quelle risultanti dalle registrazioni sul documento obbligatorio ma corrispondenti a quanto astrattamente previsto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro potrebbe essere indotto a considerare come costi aziendali non già quelli effettivamente sostenuti ma quelli “virtuali” derivanti da quanto astrattamente dovuto (e registrato), con conseguente ipotesi di esposizioni in bilancio di dati non veritieri.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali
Divisione V Via Fornovo, 8 – 00192 Roma Tel. 06.4683.4068
pec: dgrapportilavoro.div5@pec.lavoro.gov.it e-mail: dgrapportiavorodiv5@lavoro.gov.it www.lavoro.gov.it
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