QUADERNO DI MONITORAGGIO N.1/2016 I contratti di lavoro dopo il Jobs Act del Comitato Scientifico per il monitoraggio della riforma del mercato del lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala a questo link< il nuovo QUADERNO DI MONITORAGGIO N.1/2016  I contratti di lavoro dopo il Jobs Act< del Comitato Scientifico per il monitoraggio della riforma del mercato del lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali<.

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QUADERNO DI MONITORAGGIO N.1/2016  I contratti di lavoro dopo il Jobs Act<

Comitato Scientifico per il monitoraggio della riforma del mercato del lavoro

1 Prefazione

Al momento dell’insediamento del Governo Renzi, a fine febbraio del 2014, l’Italia era nel pieno della grande crisi partita nel 2008 col fallimento di Lehman Brothers, la peggiore crisi dal secondo dopoguerra in poi che molti analisti hanno giustamente accostato – per gravità, durata ed estensione – a quella del 1929.

Sono stati anni che hanno profondamente segnato il tessuto economico e sociale del nostro paese, rendendo ancora più evidenti le debolezze strutturali che già avevano contribuito negli anni precedenti a rendere la nostra economia meno competitiva rispetto ai principali partner europei. Tra il 2000 e il 2007, infatti, il Prodotto Interno Lordo italiano era cresciuto complessivamente di 8,5 punti, a fronte di una media per i paesi dell’area euro di 17,5 punti. Contemporaneamente, il nostro Paese perdeva tre punti di produttività totale dei fattori mentre in Germania e in Francia si registrava una crescita di 11 punti.

La minore produttività portava con sé minore competitività, con le conseguenti ricadute sul mercato del lavoro.

Negli anni della crisi, poi, il livello del Prodotto Interno Lordo è ripiombato ai livelli precedenti l’inizio del millennio, penalizzando in particolare i giovani occupati, più esposti alla precarietà lavorativa, e i disoccupati, le cui chance di entrare nel mondo del lavoro si sono notevolmente affievolite. La chiusura di molte attività produttive non ha solo generato disoccupazione, ma ha anche causato la perdita di quel bagaglio di conoscenze e saperi che hanno fatto la storia e la fortuna di molte piccole e medie imprese italiane.

Basta citare alcuni numeri della crisi per comprendere la profondità della recessione. Tra il 2007 e il 2013, l’Italia aveva perduto 8,7 punti di PIL, laddove, nello stesso periodo, paesi come Francia (+2,0 % di PIL) e Germania (+3,7 %) erano comunque riuscite a contenere i danni e a riprendere, anzi a crescere.

Sul fronte del lavoro, sempre negli stessi anni, il numero complessivo di occupati diminuisce di 900 mila unità: un calo drammatico, e tuttavia attenuato dall’ampio ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni con picchi di utilizzo di quasi 637 milioni di ore nel solo 2013. Degli effetti della crisi, e delle incertezze diffuse nel tessuto imprenditoriale, risentiva anche la qualità dell’occupazione: la quota di nuove assunzioni tramite contratto a tempo indeterminato fu nel 2013 pari ad appena il 16 %; ciò a dire che al pari degli investimenti in capitale fisico, anche l’investimento in capitale umano si attestava a livelli molto modesti.

Il Jobs Act, messo a punto già nel marzo 2014, rappresenta un tassello importante dell’ambizioso programma di riforme avviato dal Governo Renzi per restituire all’economia italiana gli strumenti per crescere e riguadagnare competitività nel contesto internazionale.

Una strategia di riforme di cui l’Italia aveva da anni bisogno e che per troppo tempo era stata rinviata: la riforma costituzionale, la riforma del lavoro, la riforma della scuola, la riforma della pubblica amministrazione e, più in generale, una politica economica e fiscale, che, pur nel rispetto dei vincoli di spesa legati al contenimento del debito pubblico, contribuiscano a far ripartire l’economia e a creare lavoro più stabile.

Al centro del Jobs Act vi sono due esigenze principali: quella di rispondere rapidamente alla grave crisi occupazionale e quella di ammodernare le istituzioni del mercato del lavoro per renderlo più dinamico e inclusivo.

Il Jobs Act va a sua volta visto come una strategia complessiva che non si esaurisce solo nell’esercizio della delega data dal Parlamento al Governo, a fine 2014, per la riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e per estendere le opportunità di conciliazione tra esigenze di cura, di vita e di lavoro. Il Jobs Act si compone anche degli interventi di semplificazione del rapporto di lavoro a tempo determinato e di apprendistato approvati dal Governo a pochi giorni dal suo insediamento nel marzo del 2014. Così come organici alla strategia di riforma – nell’ottica di rispondere alla crisi occupazionale e a favorire l’occupazione stabile – sono gli interventi in materia di incentivi alla creazione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, introdotti con la legge di Stabilità per il 2015 e riproposti, in misura più ridotta, anche per il 2016.

Collegati ai provvedimenti già approvati sono anche le misure, all’esame del Parlamento, in materia di lavoro autonomo e di lavoro agile.

Non va inoltre dimenticata la forte complementarietà del Jobs Act con le altre riforme approvate nel frattempo. Con la riforma della scuola, per esempio, nel promuovere e potenziare l’alternanza scuolalavoro nel nostro paese, o con la riforma costituzionale per la costruzione del nuovo sistema di politiche attive e servizi per il lavoro.

In questo primo quaderno di monitoraggio viene analizzato e valutato l’impatto delle riforme e delle misure poste in essere in materia di rapporti di lavoro, finalizzate a facilitare la creazione di posti di lavoro a tempo indeterminato e a ridurre l’area dell’instabilità e dell’incertezza lavorativa, in particolare per le generazioni più giovani. Con i successivi quaderni saranno analizzati gli effetti e i risultati degli altri aspetti della riforma, a partire dai provvedimenti adottati in materia di ammortizzatori sociali, sia quelli connessi alla disoccupazione involontaria che quelli in costanza di rapporto di lavoro.

Dati alla mano, possiamo senza dubbio affermare che i poco più di due anni trascorsi dall’insediamento del Governo Renzi hanno rappresentato una svolta importante per il mercato del lavoro italiano.

Tra il marzo 2014 e il luglio 2016 sono stati recuperati 585 mila occupati, 266 mila dei quali nell’ultimo anno. Il tasso di disoccupazione, che era al 12,8%, è sceso all’11,4% e, per converso, il tasso di occupazione dal 55,5% è risalito al 57,3%. Anche nell’area del lavoro giovanile si sono fatti passi in avanti significativi, anche se certamente ancora insufficienti a risolvere uno dei problemi più acuti del nostro mercato del lavoro. A questi dati si aggiunge anche la consistente diminuzione nel ricorso alla CIG. Nel 2013 erano stati oltre 1,5 milioni i lavoratori coinvolti in periodi di CIG, nel 2015 si sono dimezzati a poco meno di 750 mila.

Ancora, nel 2015 il lavoro a tempo indeterminato è finalmente tornato al centro dell’attenzione delle imprese. Nell’area del lavoro privato si sono registrate più di 2 milioni di nuove assunzioni con contratti a tempo indeterminato (750 mila in più dell’anno precedente) e 660 mila trasformazioni di contratti a termine e apprendistato (260 mila in più del 2014). La variazione netta delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato è risultata pari ad oltre 916 mila unità, con un incremento del numero dei lavoratori stabili nel settore privato extra-agricolo censito dall’INPS pari al 5,5 % in un solo anno.

Rispondendo positivamente alle novità normative introdotte con la riforma del lavoro e con la decontribuzione, le imprese operanti in Italia hanno, dunque, ricominciato a reinvestire nella risorsa lavoro con una prospettiva di lungo termine. Investire nelle risorse umane significa, infatti, cominciare a spezzare quel circolo vizioso che ha caratterizzato in passato la nostra economia, un corto circuito che ha portato il paese su una “via bassa” di crescita, basata esclusivamente sul contenimento dei costi, sacrificando spesso l’innovazione, le competenze, la formazione.

Il riordino della disciplina dei contratti è stato un altro fattore importante per rafforzare la regolarità e la stabilità del lavoro, eliminando le collaborazioni a progetto e l’associazione in partecipazione. Abbiamo voluto una cornice di regole semplici e chiare che contrastino elusioni ed abusi, che non solo vanno a ledere la dignità dei lavoratori ma ostacolano anche la sana concorrenza tra le imprese. Le spinte ad innovare, a crescere, ad incrementare la produttività si sviluppano meglio nell’ambito di un sistema economico nel quale gli imprenditori possono essere sicuri del rispetto delle regole da parte di tutti.

È proprio con questo spirito che il Governo sta rivedendo la disciplina dei voucher, affinché l’uso distorto dello strumento non ne vanifichi l’utilità e la valenza in un mercato del lavoro moderno dove esiste anche l’esigenza di prestazioni meramente accessorie e temporanee.

Vorrei concludere questa prefazione ringraziando tutti i membri del Comitato Scientifico di Monitoraggio della Riforma del Mercato del Lavoro per il prezioso contributo di analisi e di idee. L’attività di monitoraggio e valutazione è fondamentale nella prospettiva di una politica del lavoro che sia sempre più informata, calibrata ed efficace.

In tal senso, la sfida principale che abbiamo ora davanti è quella di costruire un sistema di politiche attive nel quale la valutazione di efficacia sia il faro per capire quali strategie e quali strumenti possano rappresentare il miglior veicolo di rapido inserimento e reinserimento delle persone nel mondo del lavoro.

Giuliano Poletti

Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali

Per leggere la versione integrale del nuovo QUADERNO DI MONITORAGGIO N.1/2016  I contratti di lavoro dopo il Jobs Act< andare a questo link<

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