Gentili colleghi,
ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la Sentenza della Corte di Cassazione n. 39072/2017 del 18.07.2017 reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali basta la consapevolezza di non versare all’Inps quanto dovuto.<.
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Sentenza della Corte di Cassazione n. 39072/2017 del 18.07.2017<
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Xxxxxxx xxxxxxx, nato a Arezzo il 18/03/1961,
avverso la sentenza del 05/12/2016 della Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Beatrice Sisto, sostituto processuale dell’avv. Giovanni Gatteschi, che si è riportato ai motivi chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.Il sig. Xxxxxxx xxxxxxx ricorre per l’annullamento della sentenza del 05/12/2016 della Corte di appello di Firenze che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di tre mesi di reclusione e 400,00 euro di multa inflitta dal Tribunale di Arezzo che, con sentenza del 14/01/2015, l’aveva dichiarato penalmente responsabile del reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 2, commi 1 e 1-bis, di. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, perché, quale Presidente del C.d.A. della società <<Ssss sssssssssssss S.p.a.>>, aveva omesso di versare all’INPS le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti nei mesi di dicembre 20Il e aprile 2012 per un ammontare complessivo pari a 221.217,00 euro.
1.1.Con i primi due motivi, deduce la causa di forza maggiore provocata dall’improvvisa mancanza di liquidità che aveva colpito l’impresa proprio nel periodo di scadenza delle obbligazioni contributive inadempiute, crisi non potuta fronteggiare per motivi indipendenti dalla propria volontà, ed eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà della motivazione in ordine alla erronea applicazione, al caso di specie, degli artt. 42, 43, comma primo e 45, cod. pen., a causa del decisivo travisamento delle risultanze probatorie, omesse e inventate.
1.2.Con il terzo ed il quarto motivo, deducendo la comprovata esistenza di una delega di funzioni onnicomprensiva in materia di dipendenti conferita con atto notarile ad un consigliere del C.d.A., con assegnazione di autonomia gestionale e gestoria, regolarmente iscritta al registro delle imprese e comunicata all’INPS a seguito della notifica al liquidatore della diffida ad adempiere, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc pen., la contraddittorietà della motivazione in ordine alla erronea applicazione nei suoi confronti dell’art. 2, comma 1-bis, di. n. 463 del 1983 e della relativa causa di non punibilità, a causa del decisivo travisamento delle risultanze probatorie, omesse e inventate.
1.3.Con il quinto motivo, richiamando gli argomenti già illustrati con i primi due ed, in particolare, la sua ricerca di disponibilità finanziarie necessarie ad adempiere agli obblighi contributivi e la predisposizione di un piano di ristrutturazione industriale, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen. a causa del decisivo travisamento delle risultanze probatorie, omesse e inventate.
1.4.Con il sesto motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio determinato esclusivamente in considerazione dell’entità delle somme non versate senza prendere in adeguata considerazione il fatto che, trattandosi di un’impresa di notevoli dimensioni con 400/500 dipendenti, il debito contributivo non poteva che assumere le dimensioni indicate nella rubrica e svalutando completamente l’elemento soggettivo del reato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
3.1 primi due motivi, comuni per l’oggetto, sono manifestamente infondati e proposti al di fuori dei casi consentiti nel giudizio di legittimità.
3.1.L’imputato eccepisce il vizio di motivazione sotto il profilo della sua contraddittorietà “estrinseca” poiché, sostiene, il ragionamento della Corte si fonda sul travisamento («per omissione e per invenzione») delle risultanze probatorie (nella specie, la testimonianza della impiegata responsabile amministrativa ed il proprio esame).
3.2.Il travisamento della prova è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
3.3.In questi casi è onere del ricorrente riprodurre o allegare al ricorso il contenuto integrale della prova travisata (Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016, dep. 2017, Saccomanno, Rv. 269801; Sez. 4, n. 46979 del 10/Il/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023; Sez. 1, n. 23308 del 18/Il/2014, Savasta, Rv. 263601, secondo cui sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi – quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito -, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.).
3.4.E’ sufficiente constatare che il ricorrente, non solo per i primi due motivi, ma anche per tutti gli altri, non ha assolto all’onere di allegazione dei documenti e delle prove delle quali eccepisce il decisivo travisamento. Ne consegue che le sue deduzioni circa l’improvvisa insorgenza della crisi di liquidità dell’impresa e le iniziative poste in essere per farvi fronte restano inammissibilmente generiche e fattuali nella misura in cui sono tese a contrastare la motivazione della sentenza che, nel disattendere gli analoghi primi due motivi di appello, ha escluso la natura imprevista della crisi di liquidità e la sua idoneità a impedire il versamento anche solo parziale delle ritenute operate sulle retribuzioni regolarmente corrisposte.
3.5. Peraltro, l’argomento dell’incidenza della crisi di impresa sull’elemento soggettivo del reato, questione già ampiamente scandagliata in tema di omesso versamento delle ritenute operate ad altri fini sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, è stata risolta da questa Corte, con specifico riferimento all’omesso versamento delle ritenute effettuate a titolo contributivo e previdenziale, con le sentenze Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, Casella, Rv. 258056 e Sez. 3, n. 13100 del 19/01/20Il, Biglia, Rv. 249917, che hanno affermato il principio di diritto, che deve essere qui ribadito, secondo il quale il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2 D.L. n. 463 del 1983, conv. in I. n. 638 del 1983) è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, sicché non rileva, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti.
3.6.Il reato di cui all’art. 2, commi 1 e 1-bis, d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, è punibile, come ricordato dalla Corte territoriale, a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’INPS le ritenute effettuate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evasione contributiva.
3.7. Il debito contributivo è collegato al pagamento delle retribuzioni. Ogni qualvolta il datore di lavoro effettua tali pagamenti insorge a suo carico l’obbligo di versare le somme dovute all’INPS, trattenendole sulle retribuzioni stesse di cui costituiscono quota parte. L’art. 2Il5, cod. civ., infatti, impone al datore di lavoro di versare anche la parte di contributo che è a carico del lavoratore, salvo il diritto di rivalsa. L’art. 19, legge n. 218 del 1952, dal canto suo, rende il datore di lavoro responsabile unico del pagamento dei contributi anche per la quota a carico del lavoratore: “Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto — recita l’art. 19 – dal datore di lavoro sulla retribuzione del periodo di paga cui il contributo si riferisce”. La ritenuta deve essere riferita allo stesso periodo di paga al quale il contributo si riferisce, come si argomenta dall’obbligo imposto al datore di lavoro di indicare nel prospetto paga la distinta delle singole trattenute (art. 1, legge n. 4 del 1953). Appare dunque chiaro che attraverso il meccanismo della trattenuta il datore di lavoro aziona e rende concreto il suo diritto di rivalsa mediante la (anticipata) costituzione della provvista finanziaria necessaria a far fronte – pro-quota lavoratore dipendente – alla sua obbligazione nei confronti dell’INPS. Il contributo è infatti percentualmente quantificato sull’ammontare della retribuzione lorda del lavoratore (art. 17, legge n. 218 del 1952) e, pur costituendone una quota ideale perché corrispondente ad una somma fisicamente non consegnata al lavoratore stesso, si tratta pur sempre di una parte della retribuzione utilizzata dal datore a fini di rivalsa. L’omesso versamento delle ritenute effettuate a fini contributivi sulle retribuzioni effettivamente corrisposte si traduce nella distrazione ad altri fini di somme di denaro astrattamente di pertinenza del lavoratore dipendente, il che, anticipando quanto più oltre si dirà, confligge in astratto con la tesi della crisi di liquidità, logicamente contraddetta dalla disponibilità del danaro sufficiente al pagamento delle retribuzioni, onerando chi l’invoca di ben più precisi e stringenti oneri probatori.
3.8.Infatti, sviluppando e riprendendo il tema della «crisi di liquidità» d’impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, questa Corte ha sempre predicato la necessità che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al datore di lavoro della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’impresa o l’attività, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
3.9.0ccorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentire il corretto e puntuale adempimento dell’obbligazione contributiva, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055, che, pur pronunciate in tema di omesso versamento delle ritenute effettuate a titolo fiscale sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, esprimono principi del tutto sovrapponibili al caso di specie).
3.10.Tanto premesso, osserva il Collegio che nel caso di specie le allegazioni difensive, oltre ad essere del tutto generiche, non affrontano nemmeno l’argomento relativo alla impossibilità di attingere al proprio patrimonio personale.
3.11.0ccorre infine sgombrare definitivamente il campo da un equivoco di fondo che rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica del problema: per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione contributiva, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto.
3.12.Quando il legislatore ha voluto attribuire all’elemento soggettivo del reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo espresso, escludendo, per esempio, dall’area della penale rilevanza le condotte solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l’evento (art. 323, cod. pen., artt. 2621, 2622, 2634, cod. civ., art. 27, comma 1, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39), incriminando, invece, quelle ispirate da un’intenzione che va oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), attribuendo rilevanza allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., art. 424 cod. pen.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il compito di individuare il bene offeso (artt. 393 e 629 cod. pen., 416, 270, 270- bis, 305, cod. pen., 289-bis, 630, 605, cod. pen.).
3.13.Il dolo del reato in questione, come già detto, è invece integrato, dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato.
3.14.Gli argomenti utilizzati dal ricorrente a sostegno della fondatezza della oggettiva impossibilità di adempiere appaiono, alla luce della considerazioni che precedono, frutto di un’operazione dogmaticamente errata che tende ad attrarre nell’orbita del dolo generico requisiti che, per definizione, non gli appartengono e che si collocano piuttosto nell’ambito dei motivi a delinquere o che ne misurano l’intensità (art. 133 cod. pen.).
3.15.La scelta di non pagare prova il dolo; i motivi della scelta non lo escludono.
3.16.La forza maggiore, come noto, esclude la “suitas” della condotta. Secondo l’impostazione tradizionale, è la «vis cui resisti non potest», a causa della quale l’uomo «non agit sed agitur» (Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965, Sacca, Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904; Sez. 4, n. 8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855).
3.17.Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/Il/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191).
3.18.Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/20Il, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
3.19.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10Il6 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856).
3.20.5i aggiunga che la causa di forza maggiore deve sussistere al momento della scadenza del termine previsto per il pagamento del singolo versamento da essa impedito. Risulta, anche per questo motivo, la estrema genericità e contraddittorietà della relativa allegazione posto che tale causa di forza maggiore non ha comunque impedito il corretto adempimento dell’obbligazione contributiva collegata al pagamento delle retribuzioni relative ai mesi di gennaio, febbraio e marzo 2012 e ciò nonostante il dedotto fallimento del piano di risanamento industriale di cui all’art. 67, comma terzo, lett. d), r.d. n. 267 del 1942 che, secondo le deduzioni del ricorrente, non contemplava nemmeno l’impegno del suo patrimonio.
3.21.Alla luce delle considerazioni che precedono, appare in tutta la sua fragilità la tesi difensiva.
4.Il terzo, il quarto ed il quinto motivo si espongono alle medesime censure dei primi due.
4.1.Premesso che la Corte di appello afferma con chiarezza che la delega non era firmata e che il ricorrente, pur eccependo il travisamento della prova, non la allega, resta comunque il fatto che, secondo quanto afferma lo stesso ricorrente, il delegato era privo della necessaria autonomia finanziaria e dei mezzi necessari per far fronte al pagamento del debito contributivo. Tant’è che contraddittoriamente deduce di essersi personalmente dato da fare per tentare di reperire la liquidità necessaria. Tale comportamento è coerente con il fatto che soggetto attivo del rapporto previdenziale è solo ed esclusivamente il datore di lavoro il quale, anche quando delega ad altri il versamento delle ritenute, conserva l’obbligo di vigilare sull’adempimento dell’obbligazione da parte del terzo (Sez. 3, n. 34619 del 23/06/2010, Di Mambro, Rv. 248332; Sez. 3, n. 5416 del 07/Il/2002, Soriano, Rv. 223372; Sez. 3, n. 33141 del 10/04/2002, Nobili, Rv. 222252).
4.2.Tenuto ad adempiere alla diffida inviata ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983, resta pertanto colui che era obbligato al momento dell’insorgenza del debito anche se, ‘medio tempore’, ha perso la rappresentanza o la titolarità dell’impresa. Ciò perché il pagamento costituisce una causa personale di esclusione della punibilità, sicché vi è tenuto solo l’autore del reato, tenuto a sollecitare, anche in caso di fallimento, il curatore frattanto nominato perché adempia al pagamento nel termine trimestrale decorrente dalla contestazione o della notifica dell’avvenuto accertamento della violazione (Sez. 3, n. 19574 del 21/Il/2013, Assirelli, Rv. 259741). Nel caso di specie il ricorrente non deduce di aver sollecitato il liquidatore ad adempiere ma di avergli rappresentato l’esistenza della delega in favore del consigliere del C.d.A., ritenendo evidentemente così di sottrarsi ad un adempimento suo proprio.
4.3.Il mancato pagamento delle somme oggetto di diffida esclude in radice la applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6), seconda parte, cod. pen., visto che nemmeno l’adempimento della diffida è ritenuta di per sé sufficiente allo scopo (Sez. 3, n. 26710 del 05/03/2015, Natalicchio, Rv. 264023, secondo cui il semplice versamento dei contributi omessi effettuato prima del giudizio non rende configurabile l’attenuante del risarcimento del danno, non soltanto perché non dimostra la spontaneità del versamento, ben potendo lo stesso essere effettuato a seguito di messa in mora del debitore da parte dell’istituto, ma anche perché l’integralità del versamento non coincide con l’ammontare dei contributi, dovendosi computare gli interessi e le spese eventualmente sostenute dall’Istituto per il recupero del credito, essendo inoltre onere dell’imputato fornire elementi idonei a dimostrare la spontaneità, l’effettività e l’integralità del risarcimento).
4.4.L’essersi adoperato per l’adempimento del debito contributivo prima della ricezione della diffida è circostanza contraddetta, sul piano della efficacia,
dalla condotta tenuta successivamente alla ricezione della diffida (mancato pagamento e indicazione di altro soggetto tenuto al pagamento).
5.L’ultimo motivo è palesemente infondato.
5.1.Resta insuperato l’insegnamento di Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252, secondo cui è da ritenere adempiuto l’obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l’elemento, tra quelli di cui all’ad 133 cod. pen., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto il giudice ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (così, in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva).
5.2.Non è perciò sindacabile la decisione di privilegiare la gravità oggettiva del reato a scapito di altri indici di commisurazione della pena. Non ha diritto di cittadinanza in questa sede l’argomento secondo cui il ricorrente ha subito la “sfortuna” di gestire un elevato numero di lavoratori dipendenti, che nulla toglie alla oggettiva gravità del danno contributivo.
6.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18/07/2017.
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