Sentenza n. 24566/2016 del 01/12/2016 della Corte di Cassazione ha stabilito che la detenzione, in ambito extra lavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti a fine di spaccio è idonea a integrare la giusta causa di licenziamento

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la Sentenza n. 24566/2016 del 01/12/2016 della Corte di Cassazione ha stabilito che la detenzione, in ambito extra lavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti a fine di spaccio è idonea a integrare la giusta causa di licenziamento<

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Sentenza n. 24566/2016 del 01/12/2016 della Corte di Cassazione<

Sentenza n. 24566/2016 del 01/12/2016 della Corte di Cassazione ha stabilito che la detenzione, in ambito extra lavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti a fine di spaccio è idonea a integrare la giusta causa di licenziamento<

Civile Sent. Sez. L Num. 24566 Anno 2016 Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO Data pubblicazione: 01/12/2016<

SENTENZA

sul ricorso 10709-2014 proposto da:

TOZZI DAVIDE C.F. TZZDVD79P18D810V, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 85, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO ROSARIO BONGARZONE, NICOLA OTTAVIANI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

XXXXXXX XXXXXXXXXXXXX S.R.L. P.I. xxxxxxxxxxx, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELL’ASTRONOMIA 5, presso lo studio dell’avvocato CARLO PERENO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FULVIO COMITO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8253/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/12/2013 R.G.N. 9686/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/09/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato PERENO CARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

R.G. 10709/2014

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 8253/2013, depositata il 9 dicembre 2013, la Corte di appello di Roma rigettava il gravame di Yyyyyy yyyyy e confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Frosinone ne aveva respinto il ricorso diretto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato dalla Xxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxx s.r.l. con lettera del 4 luglio 2005 per illecita detenzione di sostanze stupefacenti, discredito dell’immagine aziendale e allarme di possibile spaccio anche nell’ambiente di lavoro.

La Corte di appello sottolineava il disvalore sociale del reato commesso di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, che tale condotta si poneva in contrasto con le norme penali e con fondamentali principi etici ed inoltre implicava relazioni con ambienti malavitosi; osservava inoltre che la notizia dell’arresto del Tozzi sulla stampa locale era stata tale da provocare negativi riflessi sull’immagine della società e concludeva nel senso che la condotta contestata era da ritenersi idonea ad incidere irrimediabilmente sull’elemento fiduciario che deve presiedere al rapporto di lavoro, giustificando la sanzione inflitta.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il Tozzi con unico motivo, illustrato da memoria; la società ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria. Risulta altresì depositata memoria di nomina di co-difensore per la società, in persona dell’avv. Carlo Pereno.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo proposto, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., degli artt. 2119 e 2697 c.c. e dell’art. 75 CCNL di categoria, il Tozzi lamenta la carenza del percorso motivazionale seguito dal giudice di secondo grado nella sentenza impugnata e il suo difetto di congruenza rispetto agli elementi specifici del caso concreto, quali emersi e provati in giudizio, e ciò tanto con riferimento al danno di immagine, che la società avrebbe subito, quanto con riferimento al giudizio di gravità della condotta e alla proporzionalità della sanzione inflitta.

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Il motivo proposto è, per un verso, inammissibile e, per altro, infondato.

Si deve, infatti, rilevare come esso, sub specie di una denuncia di violazione e di falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., consiste in una diffusa critica del percorso argomentativo, sulla base del quale la Corte di appello è giunta alle proprie conclusioni, in particolare muovendosi alla stessa il rilievo di averle fondate, nell’assenza di un esame puntuale, quanto necessario, delle risultanze istruttorie, su una motivazione meramente assertiva e comunque incompleta.

Ne consegue che, per il profilo in questione, il motivo è inammissibile, in quanto, di fatto collocandosi nell’ambito del previgente vizio di motivazione, non tiene conto della nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in I. 7 agosto 2012, n. 134, pur in presenza di sentenza di secondo grado depositata il 9 dicembre 2013 e, pertanto, in data successiva all’entrata in vigore della novella legislativa (11 settembre 2012).

Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054, l’art. 360 n. 5, così come riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Il motivo è, poi, infondato nella parte in cui denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., atteso che, come precisato da questa Corte, “la detenzione, in ambito extralavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti Il a fine di spaccio è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche a non porre in essere, fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario, il cui apprezzamento spetta al giudice di merito” (Cass. 6 agosto 2015 n. 16524).

Quanto, infine, al vizio di violazione o falsa applicazione dell’art. 75 CCNL, si deve rilevare, ove ad esso il ricorrente abbia inteso riferirsi nell’esposizione del motivo (p. 20, primo capoverso), che non risulta depositata copia del contratto collettivo, né indicato il luogo preciso in cui tale contratto venne depositato nei gradi di merito (con le conseguenze di cui all’art. 369, comma 2°, n. 4 c.p.c.), e comunque che non ne risulta neppure riportata la trascrizione testuale.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

p.q.m.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 4.100,00 di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 1 5 % e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 settembre 2016.

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